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Giacomo Gianniotti e Monica Guerritore in Inganno
C’è stato un momento, alla fine degli anni Novanta, in cui Pappi Corsicato era considerato l’Almodóvar italiano. Anzi: napoletano, con quel quid cosmopolita dato dalle giovanili esperienze americane (mai abbandonate: vedasi gli omaggi dei fratelli Coen e i rapporti con Julian Schnabel) e una trasversalità artistica che pochi registi di casa nostra possono vantare (i documentari “pensanti” e non illustrativi, la videoarte, i videoclip). Poi, insomma, il cinema italiano è quello che è, il pubblico non è sempre ben disposto a seguire le chimere, la critica tende spesso ad accomodarsi nell’ovvio e così un talento eccentrico e sovversivo come quello di Corsicato si è ritrovato un po’ ai margini del mainstream.
Inganno, disponibile su Netflix dal 9 ottobre, arriva dopo Perfetta illusione (tanto bello e maledetto quanto trascurato, ritorno al cinema a un decennio da Il volto dell’altra) e soprattutto a quattro anni dalla sua prima incursione nella serialità, quel Vivi e lascia vivere che s’insinuava con malizia e disciplina nei modelli della fiction Rai. Remake della britannica Gold Digger, scritta da Teresa Ciabatti, Eleonora Ciampelli, Flaminia Gressi e Michela Straniero, ambientata in una cartolinesca Costiera Amalfitana fatta di hotel di lusso a strapiombo sul mare, sembrerebbe l’occasione perfetta per misurare lo sguardo di un autore capace di lavorare in profondità sulla superficialità, scagionando la mediocrità dalla banalità e ragionando sul potere delle immagini.
La storia è un banco di prova: un’affascinante e ricca sessantenne (Monica Guerritore, la cui figura plasmata anche dai film di Gabriele Lavia e Salvatore Samperi racconta il tempo che passa al crocevia dell’erotismo), piuttosto indipendente e orgogliosa, si lascia travolgere dalla passione per un giovane misterioso (Giacomo Gianniotti, statuario oggetto del desiderio privo del carisma necessario per farsi soggetto ambiguo e fluido), scatenando i nervosismi della famiglia della signora, dai figli problematici preoccupati per l’eredità all’ex marito che la lasciò per la migliore amica.
Ora, che una delle reference principali di Corsicato sia il mélo classico è abbastanza evidente, tant’è che la tensione narrativa, l’enfasi barocca, i cromatismi dal décor alle luci sono portati all’estremo, quasi schematizzati in un gioco intellettuale che occhieggia a Douglas Sirk. E così temi e contenuti: la centralità del desiderio femminile, una famiglia ricchissima che si comporta come un clan, perfino l’omosessualità repressa in un sistema naturalmente patriarcale. Eppure Inganno, che a suo modo aggiorna il tipico meccanismo dello straniero che irrompe in un gruppo chiuso stravolgendone gli equilibri (da Teorema a Saltburn il catalogo è ampio), addomestica la magnifica ossessione in ossequio all’algoritmo.
Lo stile di Corsicato, sempre in bilico tra esplosione emotiva e sottotesto ironico, non sembra il più adatto alle esigenze conformiste della piattaforma e, tra un drone e l’altro, il lessico sentimentale si ribalta in una comicità chissà fino a che punto involontaria, dalle sentenze (“Non ti puoi negare una cosa così bella solo perché ti fa paura”; “Non mi interessa essere il toy boy di nessuno”; “Lei è vecchia, lui è bono”) alle riflessioni sulla femminilità (“Nella vita di una donna c’è sempre qualcuno che ti dice cosa fare”; “Alla mia età bisogna saper rinunciare a qualcosa per non far del male a nessuno”) passando per scatti d’ira (“Brutto pezzo di m***a! Lo sapevo che non dovevo fidarmi di te!”), impacci vari (“Faccio delle ricerche dal computer dell’ufficio”), momenti languidi (“Non caricare l’orologio… fermiamo il tempo, anche solo per un attimo!”).
E così, con qualche pigrizia di troppo nella seconda parte utile giusto per accompagnarci alla comprensione del titolo, Inganno si rivela un’operazione tanto spericolata quanto irrisolta, un lussuoso e divertente intrattenimento kitsch al limite di un cringe forse pure calcolato: bastano i “temi forti” (il desiderio sessuale delle donne mature, le truffe sentimentali, i giovani intimoriti dalla vita a vario titolo) se chi dovrebbe squadernarli e impaginarli deve addestrare la propria cifra d’autore?