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Infamous
La storia è ormai nota, complice Truman Capote - A sangue freddo che ha battuto al traguardo della sala questo Infamous diretto da Douglas McGrath. In breve, la storia è quella del celebre romanziere americano e della sua indagine sul quadruplo omicidio di una ricca famiglia a Kansans nel 1959 che sfocerà su carta nel capolavoro A sangue freddo. Ma quella temporale è l'unica vittoria che arride al primo film: Infamous ha in Toby Jones un protagonista persino superiore al Philip Seymour Hoffman - meritato - premio Oscar; nel cast corale, Sandra Bullock è convincente e sommessa Harper Lee, Daniel Craig in versione dark (occhi e capelli) dimostra di poter rinunciare agevolmente alla propria fisicità in favore di una recitazione lacerante, dolente e insieme misurata nei panni del pluri-omicida Perry Smith, Sigourney Weaver, Isabella Rossellini, Jeff Daniels e Peter Bogdanovich si scrollano un po' di polvere di dosso in cammei apprezzabili. Ma i pregi ineludibili stanno, appunto, in Toby Jones e nella sceneggiatura-regia di McGrath. Jones tocca vette di raro isomorfismo rispetto a Capote, che porta sullo schermo con vis ironica, movenze gay-dandy e gossip invasivo da applausi. Ma - è qui Infamous manda KO Truman Capote - sia Jones sia McGrath riescono nel fondamentale cambio di registro dalla facezia arguta della prima parte al coinvolgimento poetico-sentimentale della seconda, quando le interviste di Truman a Perry si trasformano in una - per lui e per noi - sorprendente educazione sentimentale. Qui il film, costruito succhiando a piene mani dagli attori e da una sceneggiatura vibrante, spiana la strada all'epilogo, anche questo in delicata congruenza tra finzione e realtà. Quando A sangue freddo fu terminato, qualcosa morì per sempre anche nel suo autore, incapace di ripetersi, soffocato dal troppo denaro e dallo sconvolgimento psico-emotivo del rapporto con Perry. Quando termina Infamous, invece, siamo noi a guadagnare qualcosa. Un debito da estinguere leggendo il romanzo. A sangue freddo.