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Indiana Jones e il Quadrante del Destino @2022 Lucasfilm Ltd. & TM.
Indiana Jones e i nazisti, una vecchia storia. L’attesissimo, quinto capitolo del celebre franchise targato Lucasfilm – première mondiale fuori concorso a Cannes 76, nelle sale dal 28 giugno con Disney – ci riporta sin da subito nell’oscura ambientazione dell’epilogo dei Predatori dell’arca perduta (1981), primo insuperabile capitolo della saga diretta da Steven Spielberg. Siamo agli sgoccioli della II Guerra Mondiale, Indiana Jones (Harrison Ford) è di nuovo giovane (grazie alle magie della computer grafica), un manipolo di nazisti lo cattura e tenta di mettere le mani sulla leggendaria Anticitera (Antikythera, il più antico calcolatore meccanico conosciuto, attraverso il quale – si narra nel film – Archimede scoprì la possibilità di individuare delle faglie temporali), o meglio sulla metà di quel preziosissimo congegno.
Con Indiana Jones e il quadrante del destino James Mangold mette subito in chiaro che l’eredità spielberghiana è in qualche modo salva: il prologo del film è mozzafiato, con rocambolesco inseguimento e resa dei conti a bordo (e sopra) un treno in corsa. Poi il “salto temporale” al 1969, l’America è in fibrillazione per l’allunaggio, Indiana Jones un attempato (l’Harrison Ford di oggi, 80enne che può permettersi una scena a torso nudo e che ieri ha ricevuto una Palma d’onore a sorpresa dal Festival di Cannes) insegnante vicino alla pensione, con figlio perduto e una fotografia sul frigorifero della moglie (sì, la Marion di Karen Allen), che l’ha lasciato chissà quando.
A rimetterlo in pista ci penserà la figlioccia Helene Shaw (Phoebe Waller-Bridge), figlia del suo archeologo amico Basil (Toby Jones): l’oggetto del desiderio è naturalmente l’Antikythera, peccato che un nazista di allora, il professor Schmidt/Voller (Mads Mikkelsen, chissà quando arriverà il momento che anche Hollywood si accorgerà che può fare – e bene – anche altro oltre al villain) non ha perso la speranza di impossessarsene. Per cambiare le sorti del passato e, quindi, il futuro del mondo.
Da New York a Tangeri, passando per la Grecia e la Sicilia, il film diretto da James Mangold fa qualsiasi cosa per mantenere vivo il mito di Indiana Jones, aiutato in primis dall’iconico e monumentale score di John Williams: Harrison Ford è ancora una volta perfetto, quindici anni dopo l’ultima chiamata (Il Regno del Teschio di Cristallo), Phoebe Waller-Bridge una degna spalla portatrice di freschezza, ironia e pragmatismo, con tanto di ricomparsa del vecchio Sallah (John Rhys-Davies) e la new entry del giovanissimo Teddy (Ethann Isidore), che non può non far pensare al Ke Huy Quan del Tempio maledetto: chissà se tra 30 anni anche Ethann vincerà un Oscar…
Certo, com’è giusto che sia alcune situazioni sono al di là di ogni verosimiglianza (l’inseguimento ruota a ruota tra i vicoli di Tangeri tra una specie di Ape Piaggio e una Mercedes W114...), o qualche guest star (vedi Antonio Banderas) è utilizzata per un paio di pose e via, resta però intatto quel gusto dell’avventura e dell’archeologia applicata al fantasy che ancora riesce ad intrattenere, 42 anni dopo il prototipo.
E al culmine delle due ore e e mezza di film ci si ritrova davvero rispediti in un’altra dimensione temporale: sullo schermo come nei nostri cuori si ritorna ad un antico senso di meraviglia, quando ancora molte cose non le conoscevamo e ne ignoravamo la possibilità. Allora sì, Indy, ti capiamo quando decidi di voler restare lì: ma il futuro è oggi (il 1969...), qualcuno forse ritornerà da te. E quel cappello appeso ad asciugare aspetta solo di essere rimesso in testa.