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Certo non è proprio un titolo allettante In viaggio verso un sogno, che traduce senza fedeltà l’originale The Peanut Butter Falcon, che allude allo pseudonimo scelto dal protagonista, ispirato all’amatissimo burro di arachidi.
Non che sia una scelta del tutto campata in aria, quella della distribuzione, anche perché mette al centro due degli elementi fondamentali che costituiscono l’opera prima di Tyler Nilson e Michael Schwartz: il viaggio e il sogno. Facili? Chiaro, pura mitologia americana. Eppure tutto assume un significato se non nuovo perlomeno diverso quando conosciamo il protagonista del film.
È Zak, un ventiduenne con la sindrome di Down che scappa dalla struttura dove risiede in North Carolina per scoprire un mondo che gli è ignoto. Da subito è (anche) una questione di volti: accanto al giovane e inedito Zack Gottsagen c’è, nel ruolo del compagno di stanza, l’anziano Bruce Dern, che esce di scena poco dopo la fuga.
Tra gli ultimi attori di quella generazione in grado di trasmettere una wildness autentica e istintiva, il consumato Dern ha tutta l’autorevolezza per “benedire” l’avventura del ragazzo, impaziente di sfondare il confine di una reclusione permanente.
È una faccia che vediamo poco, quella di Dern, ma ci resta impressa per tutto il film: per esperienza e carisma, è il solo che può garantire a Zak la bontà del suo desiderio di fuga verso un mondo in cui convivono libertà e favola, autonomia e divertimento. La vita, insomma.
D’altronde Zak ama il wrestling: una forma di spettacolo che ai suoi occhi è combattimento, dimostrazione di potenza, eroismo. E benché dica “Non posso essere eroe: ho la sindrome di Down”, il sogno di andare oltre ciò che gli è concesso è più forte. Alle soglie dell'autofiction, Gottsagen è toccante nel veicolare il proprio desiderio di diventare attore nel personaggio aspirante wrestler, battezzato con un nome simile (manca una “c”), interpretando così una variante di sé.
Siamo completamente dentro l’orizzonte del più consolidato immaginario americano, con Mark Twain inevitabile patrono di quest’avventura picaresca ai confini del possibile. Huckleberry Finn abita qui: fiumi sporchi, il caldo appiccicoso, strade che portano ovunque. “Non siamo nel Signore delle mosche!” sbotta verso il finale la paziente tutrice Dakota Johnson.
C’è pure il compagno di viaggio, un burbero e scapestrato fuorilegge (cos’ha combinato?). Un personaggio che sembra cucito su misura per il tormentato Shia LaBeouf, già golden boy nelle grazie degli autori-padri (Spielberg, Redford, Stone) e ora sempre più disposto ad accompagnare on the road anime in cerca di un posto nel mondo (American Honey ma anche il se stesso di Honey Boy). Ma tutte le facce sono giuste, dal religioso cieco Wayne Dehart al feroce John Hawkes fino a Thomas Haden Church ex wrestler.
Sulle spalle della coppia formata da Gottsagen e LaBeouf (commovente l’abbraccio sulla zattera), In viaggio verso un sogno promette ciò che mantiene. Un caloroso e sincero racconto di formazione che unisce la tradizione del grande romanzo americano, la scaltrezza del feel good movie, le marche tipiche del cinema indie.
In fondo siamo sempre lì: oltre l’emancipazione c’è il desiderio di riconoscersi in un gruppo, che accidentalmente chiamiamo famiglia. Ottimo successo negli States: miglior incasso indie del 2019.