PHOTO
In viaggio con mio figlio
Il feel good movie è una delle certezze del cinema di ogni tempo e luogo. Sono storie non sempre leggere, ma con una buona ironia. Si destreggiano tra lacrime e sorrisi, risollevano lo spirito e fanno commuovere. Spesso abbracciano anche l’on the road. E veicolano solidi valori, tanto cari al botteghino.
Un esempio è In viaggio con mio figlio di Tony Goldwyn, in cui a spiccare è Robert De Niro. Presta il volto a un nonno un po’ particolare, per fortuna lontano da Nonno scatenato con Zac Efron. Qui duetta con Bobby Cannavale, che interpreta suo figlio, di professione comico che vorrebbe raggiungere Jimmy Kimmel (ce la farà?). È divorziato e alleva un bambino autistico, che per metà della settimana abita con la madre. Un giorno il tribunale gli impone la distanza, e lui rapisce il piccolo. Insieme attraversano gli Stati Uniti.
Il viaggio è l’elemento caratterizzante di un film che punta sui sentimenti. Non ammicca a Forrest Gump di Robert Zemeckis o a Rain Man di Barry Levinson, forse siamo più vicini a Wonder di Stephen Chbosky. I temi sono edificanti: abbracciare ciò che non conosciamo, aprirsi al dialogo. Ma oltre al ritratto di una famiglia disfunzionale, alla ricerca di un nuovo equilibrio, nella vicenda c’è uno sguardo lucido sugli Stati Uniti di oggi.
Si sottolinea una difficoltà nel rapporto tra generazioni. Il nonno ha uno spirito duro, non appoggia le dinamiche di chi è venuto dopo di lui. È intransigente, a tratti sembra respingere tutto ciò che lo circonda. Il figlio invece prova a cavalcare il sogno di un Paese in cui oggi regna l’incubo. Gli Stati Uniti non sono più la terra delle opportunità. La polizia non lo riconosce come genitore, lo insegue per metterlo in galera. Non è un mondo perfetto, parafrasando un titolo di Clint Eastwood. Il più piccolo del gruppo, che è speciale, prova ad avere uno sguardo più consapevole sulle cose. È l’unico a portare una pur vaga speranza. La sua memoria fuori dagli schemi gli permette di ricordare le battute dei grandi classici del cinema. Si emoziona sulla Walk of Fame, cerca la magia accarezzando un cavallo, perdona chi lo ha cresciuto, anche se è imperfetto. La mamma vuole dare una svolta alla sua esistenza, inseguendo un’armonia forse impossibile in questi tempi in cui vale la legge del più forte. Il tutto attraverso il viaggio che, come sempre, è sia fisico che legato allo spirito del tempo.
Goldwyn sa come rielaborare i canoni del genere, proiettandoli in un’attualità sempre più incerta. In viaggio con mio figlio fa di tutto per non essere banale, tocca le corde giuste, e si interroga sul rapporto tra etica e azione, giustizia e assedio. Vi ricordate il finale del bel cortometraggio di Sean Penn Luce e fiori? Il focus era sull’11 settembre, faceva parte appunto del film collettivo 11 settembre 2001. La caduta di una delle Torri Gemelle permetteva a una pianta di ricrescere, perché finalmente il sole poteva raggiungerla. La provocazione era tutt’altro che ingenua. Ora è come se Goldwyn la seguisse, domandandosi se anche dopo le grandi tragedie possa esserci una rinascita.