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Immaculate - La prescelta
Cecilia (Sydney Sweeney) da piccola ha rischiato di annegare in un lago ghiacciato. Si è salvata per un pelo, anzi per miracolo, e qui interviene Dio: deve essere stato Lui ad averla sottratta dal sottosuolo. È così che la ragazza sceglie di prendere i voti, fungendo da innesco a Immaculate – La Prescelta , il film di Michael Mohan dall’11 luglio in sala con Leone Film Group. Diventata suora, Cecilia accetta l’invito di padre Sal Tedeschi (Álvaro Morte) e giunge in uno sperduto convento italiano che assiste le monache anziane e in fin di vita. Qui incontra Suor Gwen (Benedetta Porcaroli), si imbatte in strani fenomeni e soprattutto scopre di essere incinta: un evento impossibile perché Cecilia è vergine, non ha mai avuto rapporti restando “immacolata”, da titolo originale. Che sia una novella Vergine Maria? E come si spiegano i fatti inquietanti che si succedono a catena?
Con Immaculate piombiamo nel territorio dell’horror religioso, naturalmente, che rappresenta un sotto-filone dagli albori del genere. La prescelta è un sottotitolo sintomatico: siamo davanti a una situazione di partenza con una giovane donna posta in una situazione inquietante, protetta dall’ambiente teoricamente sicuro, le mura di un convento, che però realizza di essere vittima di un complotto. A ben vedere Immaculate – come ha notato Davide Pulici – potrebbe essere tranquillamente un prequel de Il Presagio, inteso come l’originale di Richard Donner del 1976, molto più del recente prequel ufficiale appena dispensato con Omen – L’origine del presagio. Sia la sceneggiatura che la costruzione visiva del racconto, infatti, ricalcano esattamente quello schema, ossia disegnano una storia di paura per ricostruire una “nascita maligna”, una donna resa incinta da altri, il cui parto conduce verso l’orrore primario e assoluto.
Il film trova una notevole protagonista in Sydney Sweeney, attrice ormai in piena ascesa, senza pregiudizi e quindi in grado di darsi pienamente al progetto di genere; qui in particolare l’aspetto idillico e inamidato, incorniciato dai chiari del suo volto, aumenta il terrore e poi rafforza la tenacia per restare vivi. D’altronde da Rosemary’s Baby la gravidanza miracolosa non porta niente di buono… E arduo è stabilire se il “dono” sia opera di Dio o del Diavolo. A ogni modo il racconto organizza una crescente tensione secondo le regole del gioco: la dichiarazione di appartenenza è musicale, ossia la colonna sonora de La dama rossa uccide sette volte composta da Bruno Nicolai, che rievoca il film di Miraglia del 1972 e omaggia la stagione d’oro del genere italiano.
Lo spavento che emerge dal buio, le apparizioni improvvise e le morti cruente fanno il resto. Da parte sua Cecilia, preda del graduale accerchiamento, alza la testa e sceglie di reagire rivendicando la propria indipendenza: la donna partorisce e insieme scopre la verità sul “piano” dell’ambiente intorno, che da tempo sta provando e riprovando per ottenere l’empio risultato. Nella girandola di ammazzamenti del pre-finale, si segnala la dipartita della madre superiora che viene risolta con uno splatter sopra il livello di guardia per una produzione commerciale. Quale sarà il destino dell’infante, se porterà il nuovo avvento o l’apocalisse, se morto o vivo, non è dato sapere visto che il film chiude in sospeso. Niente di nuovo, tutto sommato, ma discretamente allestito, con un’attrice che lo sostiene a dovere e un’oncia di inquietudine che permane oltre lo schermo.