A vent’anni dal suo film più famoso I diari della motocicletta, il brasiliano Walter Salles rifa’ sul serio con Ainda estou aqui (I’m Still Here), ispirato all’omonimo libro di Marcelo Rubens Paiva, figlio del desaparecido Rubens, ingegnere ed ex deputato vittima della dittatura militare brasiliana nel 1971.

In Concorso a Venezia 81, riflette a specchio la tragedia dei desaparecidos inquadrando i congiunti, chi rimane: segnatamente, Eunice Paiva (una strepitosa Fernanda Torres, da Coppa Volpi) e i cinque figli, quattro femmine e un maschio.

Elaborazione del lutto, familiare e poi nazionale, personale e quindi istituzionale, comunque politica, la trattazione privilegia la memoria degli affetti, affidando al supporto visivo, siano essi i filmini Super8 della primogenita che le fotografie di rito e sostanza familiare, il memento: sta in questa documentazione il precipitato morale dell’intero film, quale sineddoche che illumina parimenti il dispositivo e l’umano che lo fa proprio.

Umano e perfino umanista, questo Salles, che sottopone la famiglia Paiva alla mercé della Storia e alla virtù irredimibile delle proprie storie, dai dentini “nascosti” nella sabbia al desco e lessico familiare, passando per le ineludibili foto: com’è che in una c’è il padre, il figlio eretto, il canetto vegeto e poi…

Eunice è moglie, vedova e sempre madre coraggio, i figli esemplari per quel che anch’essi veicolano all’impronta, diciamo, un privilegio disponibile, un elitismo affabile – il padre bolla radical chic il fidanzato della figlia, e malgrado la cultura cosmopolita e dunque le antenne alzate che gli concediamo siamo proprio a ridosso del conio di Tom Wolfe, boh… - e quindi una borghesia recipiente e riflessiva.

Già, detto che la regia è sensibile e empatica, l’emozione pronta e financo genuina (e mai melodrammatica), tutto pare fin troppo perfetto, “pulitino” anche il dolore, composta anche la resistenza, incanalata a carte bollate sul lungo percorso del riconoscimento dell’assassinio di Stato: la famiglia lacerata, la nazione ferita, eppure i punti di sutura hanno la prevalenza, per quel che lo schermo restituisce.

C’è una sorta di megliogioventuzzazione, di contenimento, se non contenzione, progressista del vulnus, che un poco pastorizza, un tot edifica, con un ritegno brachicardico, un contegno borghese e, di conseguenza, una certa fiacchezza drammaturgica, una narrazione circonvoluta e lasca – e malgrado Eunice non abbia voluto vittimizzarsi e vittimizzare i figli, la scelta di Salles pare eccedere la verità storica.

A proposito, quanto manca al cinema in Mostra l’antica e forse da ormai considerarsi estinta figura del produttore tagliatore? Va be’, I’m Still Here lo ritroveremo fino in fondo all’award season, senza troppi entusiasmi.