PHOTO
Ricardo Darín e Guillermo Francella in una scena del film
Il pretesto è quello di scrivere un libro. In realtà, Benjamin Espósito (Ricardo Darín), agente in pensione, è in cerca di una verità che metta la parola fine a 25 anni di buio: la strana e misteriosa evoluzione di un efferato caso di omicidio, seguito in prima persona, unitamente a quell'amore sfiorato, mai vissuto davvero, con l'allora segretaria al tribunale Irene Menéndez Hastings (Soledad Villamil), scavano quotidianamente un solco tra la sua memoria e un presente fatto di solitudine e tristezza. Ritrovarla, e rievocare giorno dopo giorno i passaggi di un passato nebuloso, apparentemente senza risposte, cambierà la sua visione delle cose, finendo per riscrivere il futuro.
Tratto dal romanzo di Eduardo Sacheri (“La pregunta de sus ojos”, in Italia edito da BUR) e premiato con l'Oscar per il miglior film straniero, il sesto lavoro per il cinema del regista argentino Juan José Campanella – tornato al lungometraggio dopo aver diretto importanti serie tv USA quali Law & Order e Dr. House – interroga lo scorrere del tempo attraverso le immagini, sovrapponendo alla grigia contemporaneità dei protagonisti (siamo agli inizi del 2000) il riverbero di ricordi mai definitivamente sepolti: metà anni '70, Buenos Aires, la sua polverosa periferia, uno stadio stracolmo sorvolato da un pianosequenza di oltre cinque minuti che farà epoca e che risolverà, momentaneamente, quel terribile caso di violenza sessuale e omicidio su cui Esposito e il collega Sandoval (Guillermo Francella, celebre comico in patria) non hanno smesso di indagare, motivati dall'intuizione del primo, unico ad individuare nelle foto della giovane defunta quel “segreto negli occhi” di un personaggio ricorrente, Isidoro Gómez (Javier Godino), ora sparito dalla circolazione.
Assicurato alla giustizia, sarà la stessa a riconsiderarne ruolo e posizione: da ergastolano a braccio armato dello Stato, in un paese che dopo il golpe (1976) non sarà mai più lo stesso. È da questo momento, dall'avvilente nuovo incontro con il colpevole, reo confesso e uomo libero, che il buio di una nazione incomincia ad avvolgere, soffocare il protagonista. Fuggendo qualsiasi ulteriore approfondimento sulla situazione politica e sociale argentina di quegli anni, il regista – che firma la sceneggiatura insieme all'autore del romanzo, cambiandone anche alcuni aspetti significativi – si concentra piuttosto sull'amalgama di toni e registri, sfiorando molteplici cifre espressive – care tanto al noir quanto al dramma e alla commedia – senza mai perdere di vista la coerenza estetica di una messa in scena che, grazie all'enorme lavoro del direttore della fotografia, il brasiliano Félix Monti, detta i ritmi non solo umorali, ma cromatici, del continuo andirivieni dei vari piani temporali. Ed è sullo scarto tra pubblico e privato – unendo alla frustrazione dell'agente la dignitosa disperazione del vedovo Ricardo Morales (Pablo Rago) – che Campanella costruisce quel lento, inesorabile recupero: tornando a riempire i contorni di un vuoto eloquente anche per lo spettatore, fatto di morte (Sandoval) e abbandoni (l'amore sfumato tra Benjamin e Irene), il percorso umano di Esposito e Morales si ricongiunge tempo più tardi, in un casolare sperduto, custodia coatta di un dolore che continua ad alimentarsi mantenendo viva, segregata ma presente, la memoria.