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Il signore degli anelli – Il ritorno del re
C'è più Jackson e meno Tolkien in questo straordinario epilogo della trilogia. Se La compagnia dell'anello era stato introduttivo e Le due torri dichiaratamente "interlocutorio", Il signore degli anelli - Il ritorno del Re rappresenta il trionfo della fantasia jacksoniana. Allentato il morso di un soggetto fino ad allora più costrittivo, il regista neozelandese sembra dare libero sfogo alle sue scalpitanti potenzialità. Le cosceneggiatrici Philippa Boyens e Fran Walsh dimostrano tutta la loro stoffa, la Weta Digital si supera nella computer graphics e gli attori forniscono una prova corale (menzione speciale ai comprimari).
Il risultato è un film epico e straripante anche al di là della trilogia. Basti pensare che alle 3 ore e 12 minuti finali, ne andrebbe aggiunta un'altra e (quasi) mezza, caduta sotto i tagli imposti dalla Miramax e dallo stesso regista. Jackson non scivola però sull'ultimo capitolo della trilogia, ma le riserva un gran finale. Come Tolkien e fin quasi a superarlo. Lo segue alla lettera quando necessario, ma si concede senza remore le licenze del caso. Il suo principale merito è forse proprio quello di essere riuscito nell'accentazione e nella scrematura, fino a conferire un equilibrio cinematografico alla complessa struttura narrativa del libro.
Le trame si intrecciano come in passato, ma questa volta convergono in un unico, spettacolare epilogo: Frodo e Sam sono in marcia con Gollum per liberarsi dell'Anello e poi ricongiungersi ai superstiti della Compagnia; Aragorn scopre la sua discendenza reale e guida la difesa alla capitale di Mordor; Gandalf si incammina con Pipino, per mettere in guardia Gondor dell'imminente attacco di Sauron. Dulcis in fundo: oltre 20 minuti di assedio a Minas Tirith, che senza mai perdere il ritmo, sfoggiano un bestiario fantastico degno di Guerre Stellari.
Evidente, però, che Il ritorno del Re sia molto di più. Anche dei suoi pluripremiati effetti speciali. A fronte di destini lasciati incompiuti (Saruman e Vermilinguo), la caratterizzazione si concentra su altri personaggi e particolari. Ottima prova di sceneggiatura, il rapporto di lealtà e dipendenza tra Frodo e Sam prosegue secondo il consolidato schema "ufficiale-attendente". A sorpresa, Capitan Wood soccombe però vistosamente alla prova attoriale della spalla Sean Astin. Il passaggio di Aragorn dall'accettazione del suo destino all'assunzione del comando è una raffinatezza di scrittura, che però non coglie impreparato Viggo Mortensen.
Come lui, brillano anche Ian McKellen nei panni del Mago Gandalf e l'invisibile Andy Serkis. La miglior performance è proprio la sua: nascosto sotto le spoglie digitalizzate di Gollum, si sdoppia nel suo alter ego Smeagol, dialoga con se stesso e passa con disinvoltura dalla perfidia alla disperazione.