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Il respiro della foresta
Nel monastero buddista Yarchen Garm, nella contea di Baiyu, area autonoma di Garzc, nella provincia cinese dello Sichuan, vivono più di 10.000 tibetane che praticano il monachesimo. Isolate e immerse nella natura più aspra e avversa, lontane dai propri affetti, affrontano il lungo cammino per raggiungere lo stato divino.
Il respiro della foresta di Jin Huaqing segue queste migliaia di monache durante i cento giorni più freddi dell’anno, i mesi in cui, tramite un provante ritiro spirituale, imparano a rapportarsi con questioni mistiche complesse. In piccolissime capanne di un metro quadro, situate sull’altopiano innevato, le religiose sopportano temperature sotto lo zero, e fanno fronte a una routine parcellizzata in diverse pratiche da espletare.
Azioni rituali intrise di una rilevante fisicità devozionale ed impegno marziale e solenne, presente anche nella banalità dei momenti quotidiani. Dopotutto, il rigore della clausura e l’inflessibilità nell’osservanza della norma, sono inequivocabilmente il combustibile del tortuoso sentiero verso la salvezza. Un percorso ascetico, carico di difficoltà fisiche e concettuali, che servirà anche comprendere la più enigmatica delle nozioni buddiste: l’impermanenza, ovvero la transitorietà dei fenomeni.


Il respiro della foresta
Tutto è passeggero e mutabile, niente è eterno, così nell’intangibile che nel tangibile, e per questo occorre permanere e seguire il mutamento. Il cambiamento è l’unica costante. Nessuna è protagonista, lo sono tutte, in un racconto che favorisce l’esperienza comunitaria a scapito di quella prettamente individuale, privilegiando l’esplorazione introspettiva delle relazioni.
Uniformità formale che va a coincidere con quella corporea di donne che hanno rinunciato alle canoniche connotazioni femminili per uniformarsi ed indossare l’abito rosso, accettandone i doveri. L’approccio documentaristico è visibilmente osservativo e rinuncia al puro nozionismo, lasciando alle immagini la carica narrativa.
Dettagliati primi piani si mescolano a dei scatti paesaggistici di grande respiro in un’alternanza comunicativa significante. Ma l’equilibrio della storia verrà spezzato e la realtà, rappresentata dalla forza repressiva del governo cinese contro l'istituzione buddista, si abbatterà sulla mistica convivenza. Seppur non palesemente mostrata, è sottintesa, mediante striscioni propagandistici che invitano all’unità nazionale, la modernizzazione e “a scrivere un nuovo sviluppo armonioso”.


Il respiro della foresta
L'allusione alla verità, però, non è abbastanza e gli spazi vuoti lasciati divengono evidenti ed inefficaci nel rilevare come religione e diversità culturali siano considerate minacciose. La raffigurazione idilliaca della vita monacale poi non contribuisce a rivendicarlo o ad evidenziare la cristallizzata violenza di genere.
Sono proprio queste imperfezioni informative ad indurre l’importante interrogativo sulla tipologia di audience a cui si rivolge il documentario: a chi è indirizzato? Probabilmente, a chiunque voglia accontentarsi di una visione romantica e ben confezionata della (s)gradevole attualità.