PHOTO
Lo dice subito l’avvocato Sanna (Max Tortora: solito fuoriclasse), agghindato col costume da ciambellano: “So’ trent’anni che vivo dentro a ‘sta follia, aiutame!”. La follia è il regno, uno stato farlocco sulla Salaria ispirato al mondo feudale, fondato trent’anni fa dal padre di Giacomo (Stefano Fresi). Alla morte dell’augusto genitore, il figlio – che dal babbo era stato abbandonato da adolescente – scopre di aver ereditato il trono.
Catapultato in un Medioevo a metà tra la rievocazione storica da festa paesana e una società clandestina di invasati, Giacomo si ritrova suo malgrado sovrano assoluto di una comunità abituata a obbedire e soccombere. Ma lui, così diverso dal babbo (che aveva imposto lo ius primae noctis perpetuum: “Perpetuum! Il genio!”, sottolinea Tortora), dei sudditi vorrebbe essere amico: che nella follia architettata dall’odiato padre possa esserci quel “posto nel mondo” lungamente cercato?
Esordio nel lungometraggio per Francesco Fanuele, Il regno (dal 26 giugno on demand su ITUNEs, Google Play, Chily, Sky prima fila, Rakuten, CGHV, Huawei, Infinity, TIMVISION e #iorestoinSALA) rinnova l’antico e sempre attuale tema della cialtroneria attraverso una storia buffa, legata anche a certe schizofrenie nazionali (si pensi al sedicente Principato di Seborga). Un po’ resa dei conti tra padre e figlio, un po’ parabola politica che evoca temi insiti all’identità italiana, come la tentazione dell’autoritarismo e il rifugio nel passato per sfuggire alle sfide del presente.
Fotinì Peluso in Il regnoL’ambizione di Fanuele è seguire le tracce della nostra commedia migliore, con un soggetto che avrebbe fatto la gioia di Age e Scarpelli. L’equilibrio lo cerca in una terra di mezzo dove il tono surreale si incrocia con l’umorismo mordace: a volte lo trova, a volte no. Bizzarro e curato (fotografia di Gherardo Gossi), sì, Il regno appare qua e là confuso e sbilanciato. Più di Fresi, bravo nel garantire il giusto disorientamento del personaggio, la carta vincente è Tortora, campione del parterre di comprimari. Da qualche anno finalmente assurto tra i massimi caratteristi italiani, è strepitoso nel dosare spirito d’adattamento e grottesca disperazione.