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Chissà se John Ford si sarebbe tolto il cappello davanti a una scimmia a cavallo. Forse nel 1968 anche lui vide il primo capitolo della saga, ma di sicuro non immaginava che nel 2017 sarebbe uscito un Pianeta delle scimmie in salsa western. Gli intelligentissimi “animali” cavalcavano nella neve, inseguendo il figlio rapito del protagonista, e la memoria tornava a Sentieri selvaggi, quando John Wayne braccava i Comanches per liberare la piccola Debbie. E le citazioni non finiscono qui. In The War – Il pianeta delle scimmie di Matt Reeves si sentivano gli echi di La carovana dei mormoni, e anche di Il fiume rosso di Howard Hawks.
Sono passati sette anni, ma lo spirito non è cambiato. L’orizzonte è sempre lontano o in alto, come insegnava Ford (e viene mostrato da Spielberg in The Fabelmans). E si tenta di ricreare una vita possibile in una Terra ormai distrutta.
Al posto di Reeves, dietro la macchina da presa c’è questa volta Wes Ball. Il titolo è Il regno del pianeta delle scimmie. Sono passati tre secoli dagli avvenimenti narrati in The War, il ricordo dell’illuminato Cesare è ormai sbiadito e manipolato dall’ego di feroci tiranni. Il protagonista si chiama Noa. È giovane, testardo, e una notte la sua casa e il suo clan vengono distrutti. Inizia un lungo viaggio, in cui il cucciolo potrebbe scoprirsi re.
Dopo cinquant’anni (e otto film) dall’originale con Charlton Heston, il mito di Il pianeta delle scimmie continua a brillare, si dimostra un franchise molto longevo. Una delle sequenze più famose della storia del cinema è il finale del 1968: l’eroe in ginocchio sulla spiaggia che si scaglia contro la stoltezza del genere umano, davanti alla Statua della Libertà in rovina. Wes Ball gioca con le origini. Omaggia quell’ambientazione, circonda la riva di ferro e disperazione, mantiene intatto il messaggio, la condanna lanciata da Heston. Ma adotta il punto di vista introdotto da Reeves, ovvero quello delle scimmie. Forse mai come in questa avventura l’uomo è stato così marginale, almeno nella prima parte.
La distopia si mescola alla ricerca della libertà, la speranza è la benzina di questa epopea. Che però non dimentica un pizzico di ironia. In uno dei momenti più riusciti, i paladini si imbattono in un telescopio. Per la prima volta guardano le stelle. È come se Ball si rivolgesse da lontano alla fantascienza, agli anni Sessanta da cui tutto è scaturito. Che sia un suggerimento per i prossimi capitoli? Ancora non lo sappiamo.
Ma la storia di certo non si ferma qui, in un film che getta le basi per un nuovo percorso. Il regno del pianeta delle scimmie è fluviale, serrato. Sa toccare le corde giuste, si concentra sull’importanza del dialogo. E invita a una rinnovata passione per la lettura e l’analisi di ogni immagine.