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Il regista di matrimoni
Da quaranta anni Marco Bellocchio continua a fare del cinema il terreno privilegiato per la ricerca della sua identità di uomo e artista. Ne è un'ulteriore prova Il regista di matrimoni, opera quanto mai intima, al limite dell'autobiografico, eppure sorprendentemente aperta al mondo esterno. La storia, niente più che un pretesto. A corto d'ispirazione, un maestro del cinema impegnato nell'ennesima trasposizione dei Promessi sposi approda in Sicilia per trovare un po' di pace. Incontra un mestierante che vive filmando cerimonie e tramite lui accetta di dirigere il film delle nozze di Bona, principessa triste. Se ne innamora al primo incontro, ricambiato. Peccato che il padre della sposa, sull'orlo della bancarotta, l'abbia promessa a un ricco notaio e quindi non veda la cosa di buon occhio. Insomma, rovesciando Manzoni, questo matrimonio si deve fare. Quello che conta, nell'architettura complessiva, è l'emergere del potere della ribellione sull'ineluttabilità del destino. Nulla è segnato, purché si abbia il coraggio di fuggire. Alla fine fuggono anche Franco e Bona, regalandosi un futuro che sembrava impossibile. E' la luce al termine del viaggio. Una luce ricercata durante tutto il film e che si riflette nella fotografia straordinaria come nei tagli di inquadrature scelti da Bellocchio. Immagini che restituiscono costantemente i moti dell'anima e che fanno la differenza rispetto al mediocre cinema che circola. Merito, inutile dirlo, anche della bravura di Sergio Castellitto, passionale, toccante, quasi muto. E del fatto che il film parla di noi più di quanto siamo disposti ad ammettere. La Sicilia è l'Italia intera. Paese governato da morti, cioè da vivi senza più idee, come ossessivamente è ripetuto nel film.