Da Spezzacatena a Checcacatena, cognome storpiato. Le parole possono ferire, anche molto, soprattutto se scritte sopra la lavagna della tua classe. I silenzi pure. Lo sa bene il giovane Andrea (Spezzacatena appunto, interpretato da Samuele Carrino), bravissimo a scuola e molto amato dalla madre (Claudia Pandolfi), e con un’amica speciale (Sara Ciocca) con la quale condivide la passione del cinema, ma anche molto bullizzato dal bello della scuola (Andrea Arru).

Diretto da Margherita Ferri, su soggetto e sceneggiatura di Roberto Proia, Il ragazzo dai pantaloni rosa (questo il titolo), presentato ad Alice nella Città alla Festa del Cinema di Roma e il 4-5-6 novembre in anteprima nelle scuole e dal 7 novembre in sala con Eagle Pictures, racconta uno dei primi casi riconosciuti di cyberbullismo in cui un ragazzo fu spinto a compiere un gesto irreparabile dalle canzonature dei compagni di Facebook. Galeotti furono un paio di pantaloni la cui stoffa scolorita dal lavaggio aveva assunto una colorazione rosa. Andrea decise di indossarli ugualmente in barba alle possibili reazioni di chi è ancora prigioniero di fragili stereotipi sociali basati sul mito dell’appartenenza.

La storia purtroppo è tragicamente vera e sua madre Teresa Manes, le cui commoventi parole chiudono il film: “Ho sicuramente commesso degli errori, ma permettergli di indossare quei pantaloni rosa non è stato tra quelli”, nonché suo padre Tiziano (qui interpretato da Corrado Fortuna) hanno scritto un libro (Andrea oltre il pantalone rosa – edizioni Graus) cercando di spiegare perché il loro figlio si fosse tenuto tutto dentro, di fatto condannandosi a morte. Un ragazzo molto solare, il cui gesto inaspettato (si è impiccato nel 2012 nella sua casa di Roma) rimase senza spiegazione finché sua madre dopo la sua morte entrò nel suo profilo Facebook e ricostruì l’inferno che suo figlio aveva passando.

In parte il film riesce a rendere le difficoltà dell’essere un quattordicenne, quell’età in cui “se pensi di essere un perdente o un vincente pensi che sarà così per sempre”. Ci riesce solo in parte, però. E senza dubbio questa storia con personaggi maggiormente approfonditi, dialoghi un po’ meno didascalici e senza la voce fuori campo dello stesso Andrea che si racconta “da morto” dalla sua nascita fino alla sua fine, che fa un po’ spiegone, sarebbe arrivata con più forza al pubblico. Resta comunque da apprezzare lo scopo, non solo di denuncia del bullismo, ma anche educativo (per questo assolutamente da fare vedere nelle scuole). “Le parole sono importanti”, diceva Nanni Moretti in Palombella Rossa. La versione di Andrea è: “Le parole sono come dei vasi di fiori che cadono dai balconi. Se sei fortunato li schivi. Ma se sei un po’ più lento ti centrano in pieno”. Cambiano i film, ma il significato da tenere bene in mente è lo stesso.