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Joe Cornish scrive e dirige un film destinato evidentemente al cinema per ragazzi, scegliendo l’ingombrante eredità che, da sempre, il ciclo arturiano ha donato alla narrativa multimediale. Tuttavia, gli eventi del suo Il ragazzo che diventerà Re (al cinema dal 19 aprile, con Fox) non riguardano direttamente il più celebre sovrano di Inghilterra, ma il ritorno nell’Albione di oggi di tutti gli elementi facenti parte della sua leggenda.
Primo fra tutti: Excalibur, la spada che concede il diritto di regnare a chiunque saprà estrarla dalla roccia. Stavolta sarà Alexander Elliott (Louis Ashbourne Serkis), dodicenne di scarso prestigio sociale ma cuore grande e coraggio da vendere, a trovarla e brandirla per combattere l’esercito di non-morti evocati dalla perfida Morgana (Rebecca Ferguson).
La struttura non regala grandi sorprese, nemmeno sul finale, quando fa un passo indietro e ricomincia il terzo atto. È in realtà una funzione narrativa tipica delle grandi epopee: l’eroe affronta la sua nemesi due volte, una prima volta lontano dalla patria e una seconda quanto ritorna a casa.
Il ritmo, tuttavia, sembra soffrire di tale singhiozzo (l’epica fantastica non teneva conto, giustamente, dei tempi hollywoodiani) e non è aiutato dal tic di rispiegare la trama, peraltro chiarissima, due o tre volte di troppo. Per fortuna, l’ironia alleggerisce volentieri la narrazione.
Si tratta di un film per ragazzi, è vero, ma ciò non costituisce più giustificazione valida, almeno da quando lo stesso cinema per ragazzi mutua materiale da fumetti di supereroi, cult dell’animazione e immaginario action, sfoggiando ritmi ben oltre sopra la media generale. Sicuramente sopra la media di questo film.
Per il resto l’avventura è godibile, se si viene a patti con dei comprimari non proprio carismatici, fatta eccezione per il migliore amico, Dean Chaumoo nel ruolo di “Sir Beddersvere”, e per i cameo di Patrick Stewart (versione anziana di Merlino).
L’uso degli effetti speciali è intelligente e si mostra meno economico di quel che è in realtà. Interessanti, poi, i temi familiare e generazionale, di cui la pellicola è costellata, ma non approfonditi quanto avrebbero meritato.
Oltre che con la nobile leggenda di Re Artù, capace di ostacolare un regista del calibro di Guy Ritchie, pesa il confronto con film ancora più vicini, nelle ispirazioni. Su tutti, la saga urban fantasy di Harry Potter. Il ragazzo che diventerà Re affronta il paragone con coraggio, persino con un pizzico di freschezza, ma soccombe presto ai colpi dei suoi avversari.