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Il problema dei 3 corpi © 2023 Netflix, Inc.
La fisica, nuovamente. Per noi che avevamo scelto la gratifica interiore degli studi umanistici per sottrarci al giudizio di numeri, formule ed equazioni è una nemesi. Se non è un dottorato quello che serve, almeno un Rovelli da introduzione teniamolo sul comodino. Tanto ormai per leggere un libro, vedere un film o spararsi una serie come minimo devi conoscere le basi della fisica quantistica, le leggi della gravità, la teoria della relatività e l’ordine del tempo. Non bastava Nolan, un fisico applicato al cinema, anche la Cavani ci si è messa. Per non dire del dittico finale di Cormac Mccarthy – Il passeggero e Stella Maris – che richiedono forse qualcosina in più di un bignamino einsteniano. No, ci si è messa anche Netflix. Prima Dark, che almeno era una serie tedesca acquistata dal gigante dello streaming. Ora Il problema dei tre corpi , che è invece Netflix 100%. Ma è anche un po’ HBO. Sì, perché produttori di questo mega show da piccolo schermo sono David Benioff e D.B. Weiss, ovvero i produttori della serie forse più popolare e dibattuta della storia: Game of Thrones.
Un ritorno in grande stile, per budget e ambizioni, accompagnato da alcuni volti noti del Trono di spade come Liam Cunningham (era Davos Seaworth in GoT) e Jack Rooney (John Bradley in GoT). Anche in questo caso la serie è un adattamento di una saga di successo: l’epopea fantasy di George R.R. Martin per Game of Thrones, l’omonima trilogia sci-fi di Liu Cixin per Il problema dei tre corpi. La differenza è che Martin non aveva finito i suoi libri e questo era particolarmente evidente nelle ultime controverse stagioni del Trono di spade; Liu Cixin sì, anche se questa compiutezza non è del tutto evidente negli esiti di questo primo adattamento. Otto episodi, molto veloci e fin troppo compressi se paragonati alla prosa sì rapida ma più distesa di Liu Cixin (che ha comunque approvato la sceneggiatura, cosa che non era avvenuta con il ben più fedele Tre corpi di produzione cinese, che era stato trasmesso su Peacock lo scorso anno. Lì però lo scrittore non era stato proprio coinvolto). Una versione “occidentalizzata” non solo perché sposta l’azione dalla Repubblica Popolare Cinese alla cosmopolita Londra ma anche per il taglio del racconto e il cuci dei dialoghi, sotto l’inderogabile imperativo di snellire e semplificare. Che normalmente ha come esito quello di ammassare e far capire ancora meno. E in effetti se la trilogia letteraria richiede un discreto sforzo analitico e dimestichezza con la Wikipedia scientifica, l’analogo Netflix pretende soprattutto credulità.
Ma di che parla Il problema dei tre corpi? Di catastrofi imminenti, di invasioni, di scienziati che muoiono misteriosamente e di un gioco con visore annesso che catapulta il giocatore in mondi e in epoche lontane, nei quali si gioca però il futuro reale. Si perdoni la vaghezza, ma il di più è spoiler. Sarà sufficiente sapere che l’universo dei Tre corpi (che sono i tre enigmatici Soli che determinano il destino del pianeta) è un buon compendio della fantascienza contemporanea, tra architetture da multiverso e apocalissi ambientali.
E poi, come in GoT , ci si sposta da un continente a un altro, da un’epoca a un’altra e alla fine arrivano gli estranei. Eppure, nonostante il generoso impiego di fondi per far lievitare lo spettacolo, c’è qualcosa nel Problema dei tre corpi che non funziona. Ha a che fare probabilmente con lo scarso carisma dei personaggi e, quindi, con l’incapacità della versione televisiva di sostituire l’apparato speculativo e deterministico dell’originale letterario con qualcosa di più affascinante.
E veniamo alla fisica. Il fascino dell’opera di Liu Cixin risiede nella provocazione che fa da apripista alla storia: le leggi della fisica non funzionano. Tutto quello che la scienza ha appreso e insegnato nell’ultimo secolo sconfessato da un’anomalia dell’universo. Il percorso della saga letteraria è allora quello di tornare a dimostrare la validità della fisica. A testarla per comprovarne l’efficacia. Sostanzialmente, a rassicurarci.
Nello show Netflix la rassicurazione non è funzionale a questo spirito del tempo, a questo profondo bisogno di ritrovare un ordine del mondo, persino un’armonia, nella mescolanza di fisica e metafisica che tanta fortuna sta generando nell’industria culturale. No, qui il rassicurare equivale a non disorientare, a fornire il già noto, bilanciando action, effetti speciali e sentimentalismo. Un moto vistoso e perpetuo dentro il circuito della Noia.