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© Julien Panié
Strana la parabola di Michel Hazanavicius, che dalle parodie delle spy story anni Sessanta di OSS 117 è finito con qualche Oscar (di troppo) in mano grazie alla scaltra operazione The Artist.
E così, da uomo forte della nuova commedia francese, ha cominciato a fare i conti con ambizioni ora un po’ tronfie (il remake di Odissea tragica) ora spericolate quanto pericolose (Il mio Godard, tra omaggio e farsa: irrisolto ma a suo modo divertente).
Non proprio esaltante, insomma, il decennio che è quasi trascorso dal trionfo americano (benedetto dall’allora potente Harvey Weinstein). E Il principe dimenticato (direttamente su Amazon Prime Video) non fa che confermare le molte perplessità attorno alla carriera del regista.
Nelle intenzioni, un dream team per il botteghino francese: il premio Oscar in cerca di riscatto commerciale (nonché critico) e Omar Sy, campione del box office, in una favola per famiglie confezionata con 25 milioni di euro. Nei fatti, un mezzo flop: e se per il prolifico Sy è il rischio è contenuto, per Hazanavicius – che lavora su commissione – è la terza battuta d’arresto consecutiva.
Eppure sulla carta ci sono tutti gli elementi affinché la macchina funzioni: i buoni sentimenti, i colori sgargianti, la patina disneyana. La Disney, appunto, il cui spirito è convocato nei cromatismi dei costumi, nel décor fiabesco, nelle musiche di Howard Shore.
Lo spettacolone de Il principe dimenticato avrebbe l’intenzione di incrociare i classici live action dello Studio americano con la grandeur francese. A difettare è il mordente narrativo, ma anche – e non è irrilevante – ma proprio la fiducia nella fantasia come metro per misurare il reale attraverso gli occhi dell’infanzia.
Quel senso magico, insomma, di cui non avrebbe la storia di Djibi. Papà single che, ogni sera, racconta alla figlia di otto anni una nuova avventura di un Principe Azzurro, che ha le sue fattezze. Queste straordinarie peripezie – come d’incanto… – sono messe in scene e prendono vita in uno studio cinematografico.
Quando raggiunge l’età per il college, la figlia non ha più bisogno delle favole della buonanotte. Va da sé che si distacca dai racconti del padre: ora è interessata al nuovo principe, un suo coetaneo, il primo amore. Lo slittamento, tuttavia, fa precipitare il loro mondo immaginario nel caos: al padre spetta dunque il compito di rimettere le cose a posto. Come? Tornando a essere quell’eroe che la figlia ha inconsciamente relegato all’oblio.
Hazanavicius sostiene di aver guardato ai capolavori della Pixar, ma c’è un problema di fondo: Il principe dimenticato guarda ai bambini ma parla agli adulti. Niente di strano, però finisce quasi solo per rassicurare questi ultimi. C’è la patina, manca il sapore.
Eppure ci sarebbero state delle tracce più interessanti che, sì, testimoniano quanto questo fiacco film sia alla portata dei genitori più che dei figli. Che il regno della fantasia sia (anche) uno studio cinematografico è un’idea affascinante, che dialoga con le ricostruzioni della memoria dell’ottimo La belle époque di Nicolas Bedos.
Regista rampante che, peraltro, fra un anno uscirà con il terzo capitolo di OSS 117, la cui sceneggiatura non ha incontrato il favore del demiurgo Hazanavicius: molto indicativo.