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Il prescelto
Ormai si può parlare di triste certezza: l'horror dei favolosi anni ‘70 non può proprio riposare in pace. Ciondolanti e svogliati come gli zombi di Re George Romero, i titoli migliori di uno dei periodi più fecondi della storia del cinema ritornano sugli schermi "grazie" al fenomeno mestamente noto come Remake Mania. Se in pochi fortunati episodi (Le colline hanno gli occhi, L'alba dei morti viventi) il prodotto "rifatto" assume una nuova e interessante dignità contemporanea, nella maggior parte dei casi (uno per tutti: Non aprite quella porta) ci si trova di fronte a pellicole imbarazzanti. Il prescelto fa parte, purtroppo, di questa seconda categoria. A parziale scusante dell'altrove ottimo regista Neil Labute (Nella società degli uomini) bisogna sottolineare quanto fosse difficile confrontarsi con il cult originale The Wicker Man diretto nel 1973 da Robin Hardy. Mistico, sfuggente e velato da un'aura di mistero l'horror di Hardy racconta di un poliziotto fervente cattolico che, con l'intento di ritrovare una bambina scomparsa, si reca a Summerisle, un'isola in cui vigono le leggi pagane di una strana società patriarcale governata da uno straordinario Christopher Lee: pagherà con la vita la sua curiosità. Labute sostituisce quello che era il punto focale della pellicola originale - lo scontro religioso - con un molto più banale scontro dei sessi. L'organizzazione sociale si trasforma così da patriarcale a matriarcale, con gli uomini dell'isola ridotti a muti muli da soma e comandati a bacchetta da un esercito di donnine capeggiate da un'icona dell'horror settantesco come Ellen Burstyn (L'esorcista). A parte questo "piccolo particolare" e un altro dettaglio che preferiamo non svelare, la trama ricalca abbastanza fedelmente la storia originaria. Ma il vero problema de Il prescelto è la completa apatia: manca il mistero e l'annullamento di ogni forma di inquietudine (se non si contano le bruttissime sequenze oniriche ormai usate, a sproposito, da chiunque) è pressoché totale. Labute, forse troppo preoccupato di realizzare un film "personale", perde di vista i personaggi quasi subito e banalizza uno spunto (lo scontro tra i sessi) che poteva diventare interessante. Nicolas Cage, poi, recita con l'espressività di un branzino al forno. Peccato.