Giorgio (Elio Germano) è un magistrato, oggi. Prima di diventarlo, prima di concludere il percorso degli studi, la sua vita ha avuto però una parentesi, una vorticosa discesa verso gli inferi. Bettole malfamate, ville sontuose, tavoli da gioco, poker e un giro di tanti, troppi soldi. E' un passato che forse non gli appartiene più, una terra straniera che ha provato a dimenticare. Basterà rincontrare lo sguardo di una sconosciuta, però, per far riaffiorare il rimosso. E per ricordare i passaggi di una fascinazione – verso il coetaneo e abile baro Francesco (Michele Riondino) – che rischiò di compromettere per sempre la sua vita.
Non solo Garrone e Sorrentino, il cinema italiano ritrova un altro dei suoi più brillanti talenti, quel Daniele Vicari che già con Velocità massima e L'orizzonte degli eventi aveva dimostrato non poche cose buone, soprattutto da un punto di vista tecnico: per la prima volta alle prese con un soggetto non originale (il film è tratto dal romanzo omonimo di Gianrico Carofiglio), il regista reatino immerge i due protagonisti in una Bari notturna e dai contorni sfocati, mescolandoli con luci (di Gossi) e suoni (al solito perfette le musiche di Teardo), spingendoli a velocità massima verso l'inebriamento della violenza e della perdizione. Un film coraggioso, che non teme di mostrare e mostrarsi, in equilibrio costante tra le oscure pieghe del reale, l'irresistibile attrazione verso il male e l'estasi di una messa in scena a tratti devastante.