PHOTO
©Vivo film, Match Factory Productions
"Potevamo essere noi".
È la frase a effetto che arriva puntuale verso fine film, pronunciata dal personaggio fino a quel momento più enigmatico, e silenzioso, dell'intera vicenda.
Che si dispiega nelle poche ore di una giornata, un pranzo per festeggiare l'anziana matrona di una famiglia allargata e abbastanza disfunzionale.
Casa fronte mare, giornata invernale, Nena (Dominique Sanda) è sposata da quasi 50 anni con Umberto (Carlo Cerciello). Per l'occasione ritornano il figlio Vito (Leonardo Lidi) e la compagna Adelina (Alba Rohrwacher), con la figlioletta Alma (Carolina Michelangeli) e il pavone del titolo, Paco.
Poi arriva l'altra figlia, Caterina (Maya Sansa), accompagnata dall'ex marito Manfredi (Fabrizio Ferracane), che molla l'attuale fidanzata - Joana, interpretata da Tihana Lazović - giù in macchina.
Più tardi li raggiungerà la giovane cugina Isabella (Yile Vianello). Già in casa la storica domestica di una vita (ben più di quello) Lucia (Maddalena Crippa) e sua figlia Grazia (Ludovica Alvazzi Del Frate), ragazza che un non meglio imprecisato evento ha reso muta.
Questo è il quadro entro cui si svolge Il paradiso del pavone, nuovo film scritto e diretto da Laura Bispuri, ospitato in Orizzonti alla 78. Mostra di Venezia.
Un pranzo che di fatto non arriverà mai, tra cose da annunciare e altre che si dipaneranno poco a poco, con un evento del tutto inaspettato che costringerà tutti a "a riflettere sulla verità dei propri sentimenti e sul senso profondo di ciò che resta e di ciò che invece scompare per sempre".
Con velleità buñueliane e senza alcun timore di inanellare situazioni e dialoghi a dir poco inverosimili (inutile star qui a soffermarsi sulla presenza del pavone, "personaggio" simbolico la cui bellezza e vanità si contrappongono alla capacità di volare realmente, ma di poterlo fare solo per brevi tratti), la regista romana sembra non preoccuparsi di dialogare con un ipotetico pubblico, ma dissemina qui e là appigli di senso in una storia familiare che ha preso le sue infinite, mutevoli strade, molto spesso all'insaputa degli uni o degli altri.
Chi è stato male e si sta riprendendo, chi preferisce non raccontare dei propri fallimenti amorosi, chi invece porta avanti in apparente serenità un menage a troìs che noi comprendiamo da subito ma che gli altri personaggi ignorano.
Insomma, fortunatamente in soli 89 minuti, questo dislivello dialettico ed affettivo sembra riallinearsi di fronte ad un inatteso evento traumatico: "Potevamo essere noi". Sì, l'avevamo capito. Grazie.