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Il paradiso degli orchi
E' dal 1985, anno della pubblicazione del primo capitolo della saga dedicata a Benjamin Malaussène, che gli ammiratori del capro espiatorio più noto della letteratura mondiale aspettavano che le gesta del loro eroe diventassero un film. E ora ci siamo.
Con una buona dose di coraggio Nicolas Bary, con la complicità dello sceneggiatore Jérôme Fansten, ha infatti messo mano al romanzo omonimo di Pennac nel tentativo di farne una riduzione che non facesse rimpiangere la pagina scritta. Operazione, è bene sottolinearlo, non tra le più semplici. Il mondo di Pennac è immaginifico, folle, surreale, sconquassato da continui colpi di scena, troppo di tutto insomma per essere trasposto in immagini senza perdere qualcosa della forza propulsiva iniziale. Difatti la resa, per quanto divertente, è in buona parte di superficie mentre nel romanzo dietro il fragore narrativo e visionario c'è un'indagine psicologica di rara ricchezza e un ritratto al vetriolo della società occidentale.
Occasione persa? Non del tutto, perché se Il paradiso degli orchi perde in profondità guadagna molto invece grazie all'effetto magico che sempre si produce quando personaggi tanto amati trovano i giusti attori. La premiatissima e intesa Bérénice Bejo e il meno noto Raphaël Personnaz cresciuto in televisione, sono perfetti nel dare corpo e voce alla zia Julia e a Benjamin . Ma se la Bejo è un'esplosione di freschezza, sex appeal e ironia e Personnaz sfodera le giuste facce da idiot savant, anche il resto del cast è di ottimo livello e stupendamente azzeccato in ogni ruolo.
Resta dunque maggiore il rimpianto che dietro le scenografie sfavillanti e i costumi bellissimi potesse trasparire in controluce una maggiore critica sociale, tuttavia il passatempo è di classe e i novanta minuti volano via veloci.