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Claudio Santamaria e Sonia Bergamasco in Il Nibbio
Esattamente vent’anni fa veniva rapita in Iraq da una cellula terroristica la giornalista de Il Manifesto Giuliana Sgrena. A restituirle la libertà ci pensò l’Alto Dirigente del SISMI Nicola Calipari, che per salvarle la vita sacrificò la sua. Ci racconta questa storia del nostro paese e soprattutto questo mediatore valoroso, che morì in questa difficile missione a Baghdad, il regista Alessandro Tonda nella sua opera seconda: Il Nibbio.
Sceneggiato da Sandro Petraglia e prodotto da Notorius con Rai Cinema e Tarantula in collaborazione con Netflix, il film è interpretato da Claudio Santamaria, Sonia Bergamasco e Anna Ferzetti, rispettivamente nei panni di Nicola Calipari, Giuliana Sgrena e Rosa Calipari ovvero la moglie di Calipari. Il compito non era semplice (ben poca la documentazione disponibile soprattutto su quest’uomo delle istituzioni sì, ma fuori dai riflettori) e la responsabilità non era da poco: un lavoro su un dato di realtà molto complicata.
La sera del 4 marzo del 2005 Calipari (con la Sgrena, appena rilasciata dai rapitori a conclusione di una lunga trattativa, e l’autista Andrea Carpani) si trovava su una Toyota Corolla dei servizi segreti italiani. Giunto nei pressi dell’aeroporto di Baghdad approssimandosi a una zona vigilata in direzione di un posto di blocco statunitense il veicolo fu oggetto di numerosi colpi d’arma da fuoco e Calipari, facendo da scudo alla Sgrena, perse la vita. Un omicidio ancora irrisolto.


Sonia Bergamasco è Giuliana Sgrena in Il Nibbio - Foto Riccardo Ghilardi
Tonda (coadiuvato da Petraglia), forte della sua precedente regia ovvero The Shift (2020) su due giovanissimi terroristi in una scuola di Bruxelles, bissa la coproduzione italo-belga e ripropone un thriller serrato e senza fronzoli, o meglio una spy story “senza scimmiottamenti di film americani”, inquadrando i ventotto giorni precedenti i tragici eventi del 4 marzo. Rinuncia a cercare le responsabilità della morte di Calipari (“sarebbe stato un altro film”), evita le ideologie, volutamente non si imbarca nel contesto geopolitico e nella politica (solo una breve scena dell’allora premier Berlusconi di spalle ben sintetizza la cifra stilistica dell’intero film) e preferisce virare e sconfinare nella dimensione privata dell’uomo. Valicare verso il privato era senza dubbio (e forse) ancor più rischioso. Eppure questa storia, sebbene affrontata “in punta dei piedi”, arriva dritta al cuore.
Fondamentali la collaborazione della stessa Rosa e l’interpretazione di Santamaria, perfetto nel restituirci in modo naturale e nella sua umanità, la figura di questo mediatore, senza la fisicità prestante dell’eroe, ma nella sua esilità (per entrare nella parte l’attore ha perso ben dodici chili), nonché le buone prove attoriali di Anna Ferzetti e di Sonia Bergamasco (che, dopo anche il suo esordio alla regia con il doc Duse the Greatest, della sottrazione pare averne fatto una sua cifra stilistica a 360 gradi). Commuove dunque questo ritratto sincero, non retorico e artefatto, e tridimensionale dell’uomo.
Un ritratto che rende giustizia al suo ruolo storico di portatore di una precisa visione valoriale e strategica, in anticipo sui tempi. Di tempo ne è passato parecchio, ma ad oggi ancora “le spiegazioni sulla sua morte non sono esaurienti”, per usare le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che oggi lo ha ricordato nel giorno del ventesimo anniversario della sua morte. Citando quelle del film ovvero nei titoli di coda: l’omicidio di Nicola Calipari è rimasto senza colpevoli. Cambia la forma, ma la sostanza purtroppo è sempre la stessa e fa molto male.