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Il mondo dietro di te
Facciamo un po’ il punto sull’Higher Ground, la società di produzione fondata dai coniugi Obama in accordo con Netflix. Mettendo da parte il business dei podcast (terminata la partnership con Spotify, è ora legata ad Audible), in cinque anni ha vinto un Oscar per il documentario (American Factory, dedicato ai tormenti della classe operaia), ottenuto una candidatura nella stessa categoria (Crip Camp, su un campo estivo per disabili; e American Symphony su Jon Batiste è il frontrunner di quest’anno) e indovinato un successo con Becoming che segue il tour libraio di Michelle, leader carismatica dell’azienda. Sul fronte della fiction c’è meno fermento: un dramdey con Kevin Hart (Un padre), la storia dei risarcimenti ai parenti delle vittime dell’11 settembre (Worth), un biopic tradizionale su una figura anticonvenzionale (Rustin).
La visione obamiana è precisa, istituzionale quanto basta per l’immagine di un ex presidente, anche se le intenzioni originarie erano forse più ambiziose, con Get Out di Jordan Peele come punto di riferimento: il cinema di genere per raccontare la prospettiva progressiste sul razzismo americano.
Al di là delle apparenze, Il mondo dietro di te conferma questo indirizzo, perché la vicenda apocalittica rivela in qualche modo le preoccupazioni dell’ex coppia presidenziale. Tant’è che, a differenza degli anni Novanta in cui invasioni aliene, asteroidi, meteoriti e cataclismi erano emergenze non gestibili e quindi andavano fronteggiate insieme, stavolta il “disaster movie” si articola come una distopia del tutto plausibile, dove l’attacco ha a che fare con qualcosa di concreto e vicino come il cyberterrorismo.
Tutto ciò avviene all’interno di quello che per volti (da Julia Roberts, diva senza tempo, al due volte Oscar Mahershala Ali, fino a Ethan Hawke sempre adorabilmente stropicciato), costi (si parla di circa 70 milioni di dollari) e temi rappresenta il “film di Natale” di Netflix per il pubblico adulto. Ed è curioso che anche quest’anno abbia a che fare con la percezione del senso della fine e con la catastrofe imminente, dopo Don’t Look Up (un’allegoria sul cambiamento climatico all’apice dell’epidemia da Covid) e Glass Onion (con il miliardario psicopatico Edward Norton che gioca a fare Dio).
Il mondo dietro di te lo fa in maniera molto più esplicita e sfacciata: una pubblicitaria rampante che “odia la gente” (lo dice lei stessa prima dei titoli di testa) e il docile marito professore di lettere e media studies affittano una casa di lusso per un fine settimana con i figli, un ragazzo in tempesta ormonale e una ragazzina ossessionata da Friends (per inciso, la serie cult è disponibile sulla piattaforma). La vacanza viene subito sconvolta quando per poco non vengono travolti da una petroliera apparentemente arenatasi sulla spiaggia di Long Island. Dopodiché il Wi-Fi sparisce, le tv non danno segnali e, nel cuore della notte, il facoltoso proprietario della villa con figlia a seguito bussano alla porta perché impossibilitati a tornare in città: che sta succedendo?
A partire dal romanzo di Rumaan Alam (pubblicato proprio nel 2020), Sam Esmail sfrutta le caratteristiche del cosiddetto “film-Covid” (uno spazio interno, qualche esterno, quattro personaggi più uno che non a caso resta a distanza di sicurezza: c’entra anche la paura del contagio) per piegarlo a una versione patinata del “disaster movie psicologico”. Il nemico è invisibile ma non lo sono le conseguenze delle sue azioni (con una visione finale che non riveliamo ma è piuttosto scioccante per ciò che evoca), non ha volto né un nome ma ha un suono che ti perfora i timpani, non si può sconfiggere perché troppo potente (non è pessimismo ma sconforto) quindi tanto vale sbronzarsi o svapare.
Nel frattempo, mentre gli adulti chiacchierano all’infinito (i soliloqui del pur inappuntabile Ali sono retorici), i ragazzi intuiscono più di quanto si creda (Friends come sintomo del bisogno di felicità) e i cospirazionisti gongolano perché leggono oltre le prime pagine dei giornali (sic), gli animali intervengono per lanciare segnali (“Il cervo è sempre benaugurante”, i fenicotteri simboli di positività) e l’acqua viene giù dal cielo come un biblico diluvio universale. Il polpettone catastrofico è servito, la regia di Esmail è addirittura insopportabile per l’arroganza dei virtuosismi, il sensazionalismo è ridondante, il lavoro sul sonoro un po’ scolastico, l’epilogo a più irritante che suggestivo. A suo modo colpisce, d’accordo, ma è un enfatico blockbuster da facile dibattito.