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Il mistero scorre sul fiume
Non solo il mistero. Tutto scorre nel grande fiume del Dragone: culture, prospettive, vite. È la Cina in perenne mutazione, che continua a finirsi e rinascere, distruggere e rifare. Un mosaico che non si ricompone mai del tutto. Ed è questo senso di incompiutezza e di maligna malinconia che trasmette Only the River Flowes (titolo più ironico di quello italiano), terza regia di Wei Shujun. Un film brumoso, autunnale, che arriva in Italia a metà luglio dopo l’ottima accoglienza a Cannes 2023 (era in Un Certain regard). Un noir che lavora con profitto su tre piani del racconto, la detection, la psiche e l’ambiente. Siamo nella Cina rurale, a metà degli anni Novanta.
Il corpo senza vita di un’anziana donna viene ritrovato vicino al fiume. A guidare le indagini è il Capo della Polizia Criminale Ma Zhe, fino a quel momento focalizzato su una duplice obiettivo: l’attesa di una promozione e di diventare padre. Il caso non sembra poi così complicato e il suo referente politico spinge per chiuderlo con un arresto: tuttavia qualcosa sembra turbare Ma Zhe e complicare l’investigazione.
Immerso in un’atmosfera cupa, segnata dalla pioggia battente e dal fumo di sigarette sempre accese, Il mistero scorre sul fiume dichiara la sua appartenenza al noir fin dalla prime immagini, ipnotizzando lo spettatore con la propria ragnatele di suggestioni visive. Fondamentale il contributo alla fotografia di Chengma Zhiyuan, che utilizza il 16 mm per creare una “sporcatura” nell’immagine: l’effetto è di ritrovarsi davanti a un reperto, a un vecchio film con le velature blu della fine del secolo scorso; ma anche di caligine, di opacità del reale. Il mistero richiamato dal titolo alligna, più che nelle indagini, nel disunirsi della volontà umana, al punto che il film si ripiega su sé stesso, diventando indagine psicologica sul detective: interpretato dal carismatico Zhu Yilong (in una veste fascinosa alla Tony Leung), Ma Zhe inizia a deragliare dai binari del dotato e zelante servitore dello Stato, attanagliato dai dubbi e dalle allucinazioni che lo tormentano.
Simbolo di una Cina spaesata di fronte al mutamento che prende le sembianze di un realtà irriconoscibile, insensata e mostruosa, Ma Zhe deve essere riportato all’obbedienza prima dalla moglie, che rivendica l’ultima parola sulla sua gravidanza (il marito vorrebbe farla abortire dopo che al nascituro è stato diagnosticato il rischio di una malformazione), e poi dal capo, che gli ordina di abbandonare congetture e incertezze procedendo alla risoluzione del caso. Ma Zhe obbedisce perché non può fare altrimenti, pena la fuoriuscita dalla storia (del resto le sue dimissioni vengono prontamente respinte). Non c’è spazio per chi sosta sulle rovine della Cina che fu, delle fabbriche, della collettivizzazione e di Mao: chi indugia è destinato a perire, mentre le scavatrici del tempo nuovo - allora di Deng Xiaoping, oggi di Xi Jinping – sono già in movimento.