Nel 1968 Donald Crowhurst, velista dilettante, partecipò alla Golden Globe Race, una regata in solitaria intorno al mondo senza scalo, attirato dal cospicuo premio in denaro e dalla possibilità di diventare il primo uomo a realizzare un’impresa del genere. Le cose però non andranno come sperato.

Dopo il Man on Wire Philippe Petit, James Marsh filma un altro insospettabile visionario e fino a dove lo può portare la sua straordinaria ossessione. Stavolta, è vero, manca il lieto fine, il brivido di una scommessa vinta sulla morte, l’epica di un’avventura titanica, ma è il tentativo, più folle che coraggioso, ad accomunare i personaggi.

 

Al punto che i due film potrebbero essere considerati un dittico, il primo documentario e l’altro con i mezzi della finzione, sull’azzardo megalomane di uomini qualunque. Il fallimento da mettere in conto.

Meno preventivabile, al netto del solito lavoro egregio di Colin Firth e della “moglie” Rachel Weisz, è l’approccio scolastico, pigro quasi, di Marsh. Come se il regista per primo non credesse alle possibilità del suo sventurato. Su questa storia era già uscito il doc di Osmond e Rothwell, Deep Water, con immagini di repertorio della regata e trasporto maggiore.