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Il mistero del profumo verde
Fa teoria e pratica del divertissement, Nicolas Pariser, regista colto senza snobismi, che già con il folgorante Alice il sindaco – grande e struggente commedia politica sulla ricerca di una narrazione socialista – era riuscito a triangolare il racconto sentimentale, l’afflato filosofico e la tenuta narrativa. Con quella capacità tutta francese di dare consistenza al tourbillon de la vie preservandone la leggerezza, Parisier porta il classico nel contemporaneo, recuperando lo statuto del giallo-rosa per stare al passo svelto e leggiadro di una commedia che è anche una spy story, un’allegoria politica che non rinuncia alla tensione romantica.
Il mistero del profumo verde, presentato alla Quinzaine a Cannes 2022, è una commedia, un giallo, una spy story, segue un uomo in fuga, un attore della Comédie Française che è testimone direttor di un omicidio per avvelenamento occorso durante uno spettacolo. Mentre la polizia cerca di scovarlo e la misteriosa organizzazione che ha commissionato l’assassinio gli dà la caccia, una disegnatrice di umetti si mette al suo fianco per far luce sul mistero: la loro fuga entra nel cuore della vecchia Europa, tra un rocambolesco viaggio in treno lungo il Danubio allo svelamento della verità nella cornice di un teatro ungherese.
Niente è casuale, nella costruzione teorica e avventurosa di Pariser: la mappatura geografica è lo specchio di un sentimento culturale, il registro comico si fa strumento e forma del discorso politico, le professioni dei personaggi ne raccontano i sogni e i bisogni. Sulle note incessanti del commento musicale di Benjamin Esdraffo, Parisier incrocia dichiaratamente la lezione dell’Alfred Hitchcock degli anni Trenta (all’origine il progetto prevedeva un ricalco dei film di quell’epoca) con i fumetti di Hergé.
Se da una parte scopre nel broncio e nell’eleganza stropicciata di Vincent Lacoste (tra i migliori attori della sua generazione) un tipico “giovane e innocente” hitchockiano con meno sadismo e al contempo un epigono di Tintin con più impaccio, dall’altra esalta il naturale umorismo di una figura carismatica e dinoccolata come quella di Sandrine Kiberlain, lavorando anche sulla chimica comico-romantica di due personaggi anagraficamente distanti (lei molto più grande di lui, dato mai banale) eppure vicini nel rivolgere al mondo uno sguardo scevro di cinismo e rabbia (splendida battuta di lei: “Quando sei di sinistra passi da una sconfitta all’altra con grande fervore romantico”).
Pariser rivendica diritto di cittadinanza nel cinema e si serve della realtà uscendo dalle secche del realismo: accavalla piani temporali, cammina sul filo della credibilità, gioca con gag (l’attacco di panico in treno) e allusioni (lo scaffale con i fumetti, citazionismo interno) e, con l’intelligenza degli umoristi, non scontorna la vicenda dal suo contesto. Perché Il mistero del profumo verde fa dell’Europa la sua patria oltre che lo spazio dell’azione, partendo da una Francia che non dimentica quel che resta della grandeur (il teatro ne è l’allegoria e l’emblema) per proiettarsi sulle strade di un continente sempre più sensibile alle deflagrazioni, tra rigurgiti antisemiti e pulsioni revansciste. La saggezza di un autore sta anche qui: scegliere la commedia è un atto politico.