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Il mio posto è qui
È per certi versi simile a C’è ancora domani. Anche se è stato realizzato prima del pluripremiato film della Cortellesi campione di incassi. Eppure la storia in parte lo ricorda e Il mio posto è qui ha già vinto (deve ancora uscire al cinema: sarà in sala dal 25 aprile con Adler Entertainment) due premi al Bif&st, dove è stato proiettato in anteprima nella sezione ItaliaFilmFest/Nuovo Cinema Italiano: quello per la miglior regia e quello per la miglior attrice alla protagonista Ludovica Martino.
Che siano i primi di una lunga serie? Lo vedremo, i presupposti sono buoni. Diretto da Cristiano Bortone e Daniela Porto, quest’ultima anche autrice del romanzo omonimo da cui è tratto il film pubblicato da Sperling&Kupfer, il film racconta la storia di una giovane donna che, contro ogni possibilità, riesce a prendere in mano la sua vita. Non è facile però per una ragazza madre vivere nella Calabria rurale degli anni Quaranta. Dopo aver trascinato la sua famiglia nel fango e con una bocca in più da sfamare (per dirla con le parole di suo padre), Marta (Ludovica Martino) viene promessa in sposa a un uomo che non ama, il signor Gino, un vedovo con due figlie piccole.
Nell’Italia del dopoguerra il patriarcato è sistema: il capofamiglia porta il pane a casa, va accudito e benedetto tutti i giorni; la donna sta a casa e non lavora (ma può farlo?) e i maschi bevono un bel bicchiere di vino, mentre le femmine una limonata. Una macchina da scrivere di marca Olivetti, ovvero la speranza di un lavoro, e un amico (Marco Leonardi), l’assistente del parroco, noto come l’uomo dei matrimoni, ma scansato da tutti per la sua omosessualità, che le mette tante “strane” idee in testa saranno la fortuna di Marta.
Già vincitrice del Nastro d’argento nel 2021 con Skam Italia e di un Ciak d’oro come protagonista dell’anno in una serie tv, Ludovica Martino conferma qui di essere una giovane attrice assai talentuosa. E questa storia di emancipazione femminile e di lotta al pregiudizio, pur con qualche piccolo inciampo, alla fine convince. Precursora di Franca Viola (ragazza di Galati che nel 1966 fu la prima a rifiutare il “matrimonio riparatore”), altra Primadonna, per dirla come da titolo dell’opera prima di Marta Savina. Questa Marta de Il mio posto è qui contemporanea di Delia (Paola Cortellesi in C’è ancora domani): l’una di Roma, l’altra della sperduta Calabria, ma entrambe appartenenti all’Italia del dopoguerra, ci mostra il ritratto di un’altra donna in lotta per i propri diritti e con il voto (per la prima volta) all’orizzonte.