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Il mio miglior nemico
Verdone vs. Muccino. A leggerlo così Il mio miglior nemico si esaurirebbe in uno scontro tra generazioni. E un po' è vero, ma nel senso del confronto tra scuole artistiche differenti: da una parte la comicità collaudata di Verdone, dall'altra la recitazione irruenta e veloce di Muccino; le battute debitrici della commedia dell'arte del cinquantenne, le tirate nervose del ventenne; l'uso perfetto del corpo del professionista di lungo corso, il sottotesto tutto interiore del giovane arrogante. Sarebbe però fare torto a entrambi rinchiuderli nel gioco dell'uno contro l'altro, anche perché basta guardarli per capire che i due si stanno simpatici e che tanto hanno in comune: per tutto il film giurano di odiarsi, invece si amano. Ed è il punto di forza di questa versione italianizzata del road-movie americano che spesso ha messo in scena il rapporto reale o metaforico genitori-figli. Anche qui un viaggio fa da sfondo alla vicenda, spazio dilatato nel quale si materializzano fantasmi personali vecchi e nuovi, amori e disamori, sogni e frustrazioni che la vita elargisce a piene mani. Così i padri non stenteranno a riconoscersi nelle disillusioni di Achille De Bellis, manager alberghiero che cura l'insoddisfazione con il più banale dei tradimenti, quello con la cognata. Mentre i ventenni si rispecchieranno nel coacervo emotivo di disperazione e velleitarismo che segna la crescita di Orfeo Rinalduzzi, giovane senza arte né parte cresciuto da una mamma single. E a quest'ultimo il Verdone regista regala le scene più intense: le liti con la madre dall'equilibrio instabile e le tirate sentimentali ai danni di Cecilia, figlia trascurata dell'odiato Achille. E' a lui ancora che affida il versante drammatico, quel lato che l'autore ha detto di sentirsi pronto a esplorare ma di cui come attore non si è assunto appieno il peso. Forse Verdone deve trovare un regista che lo faccia per lui, e allora davvero ci stupirà. Per ora ha alzato il tiro, predisponendosi a un definitivo cambiamento tutto da scoprire.