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L'oggi di Monica non è doloroso, non è felice, semplicemente, è: una padre anziano con cui pregare, una sorellastra così vicina così lontana e un nipotino fragile, una madre mai perdonata e una relazione (non) sentimentale con il capo. Monica è manager, Monica è donna, Monica è una donna manager, suo malgrado: non riesce a tenersi insieme, ma non crolla, soffre un po', in silenzio. Perché è rigorosa, asciutta, fino all'anaffettività nei rapporti occasionali: insegna, anzi, forma altri manager, ma è un'educazione meccanica e, in definitiva, fuorviante, correa. Crisi, cambiamento, sacrificio, condivisione: parole sulla lavagna, ma nella vita? Un altro, proprio mondo è possibile?
Interrogativo buono per il quarto film di Marina Spada, Il mio domani, che offre a Claudia Gerini il ruolo da protagonista, drammatica e “d'autore”. In concorso a Roma, ambientato in una Milano senza luoghi comuni, guarda al movimento da fermo di Antonioni, alle divagazioni bucoliche di Olmi e, più in generale, al minimalismo emotivo, al tutto scorre del piano sequenza, che mette in fuoricampo le scene madri: Monica è una e cento altre donne come lei, ha una natura saggistica, forse perfino pedagogica. Vorrebbe dire dell'essere donna metropolitana oggi, senza emozionare, mantenendo le distanze, ovvero senza cercare l'immedesimazione del pubblico: figura esemplare, ma non “sentimentale”.
E la regia, che prende da analoghe contingenze anni '60-'70, aiuta, ma fino a un certo punto: quando Monica cambia, chiede allo spettatore di com-patirla, ma è troppo tardi, anzi, incongruo. La Spada finisce per rinnegare le premesse formali e poetiche seguite fin lì per fare di Monica non più una come noi, ma una di noi: ci sentiamo chiedere l'immedesimazione, e Il mio domani mostra una coperta troppo corta. Se l'eredità '70 poteva giustificare una “splendida inattualità” (preghiere, RadioMaria e campagna) e uno scatto fotografico del qui e ora senza far intravedere il dopo ( ancora licenziamenti: e poi?), l'epilogo manda in crisi la rarefazione fatta saggio, e apre al solipsismo, ovvero all'egoismo di una felicità raggiunta in solitaria, senza chiedere al pubblico finché non è tale.
Monica è cambiata, Monica ora è felice, e vuole condividerlo con noi, vuole che ci sentiamo come lei: ma il suo domani è anche il nostro?