PHOTO
Il mio amico Tempesta
Dopo un inserto onirico con stalloni bianchi che galoppano a riva,nelle stalle della tenuta di Saint-Marie-du-Mont in Normandia, Marie (una Mélanie Laurent all’ennesimo ruolo da madre angosciata) dà alla luce, tra la paglia la figlia Zoé, mentre accanto a lei nasce il cavallino Tempesta. Il doppio parto segna la simbiosi vitale tra bambina e destriero: la piccola fantina cresce nella tenuta di famiglia, adora solo i cavalli, cerca di imitare il padre Philippe, trottatore frustrato, vive in sella al suo coetaneo a quattro zampe, sognando un giorno di salire sul gradino più alto del podio del parigino Grand Prix d’Amerique.
Quasi dieci anni dopo, però, mentre papà gareggia e mamma lo incita dagli spalti, Zoé e Sébastien, l’instabile aiutante di stalla, si ritrovano a salvare i cavalli da una tempesta che si abbatte nottetempo sul maniero. Tra scalpiccii, bombe d’acqua e nitriti, Tempesta fugge, terrorizzato, dalle stalle, investe l’amata Zoé e la costringe per sempre alla sedia a rotelle. A peggiorare le cose per Marie e Philippe, oltre al senso di colpa per aver abbandonato una figlia ora paraplegica che rifiuta ogni reazione e annaspa nell’inedia, ci si mettono i conti in rosso della scuderia. Il finanziatore Cooper, tra un benservito per dipendenti storici e inattesi cambi di guardia, costringe papà Philippe a cedere il sellino al rampante Pierre, fantino talento che, tuttavia, non sembra in grado di risollevare le sorti della scuderia.
Christian Duguay dopo Belle & Sebastien - L’avventura, replica sul grande schermo la più classica storia d’amicizia e identificazione uomo-animale (qui tra una bambina e un cavallo) innestandovi la variante, sostanzialmente inedita, della malattia invalidante per la protagonista.
La scintilla narrativa è il romanzo (di discreto successo in Francia) Tempête au haras firmato da Christophe Donner, nel frattempo diventato anche il fumetto Corri, Tempesta! disegnato da di Jérémie Moreau. Su questa base, tra l’ossatura favolistica, il battito sentimentale, il quadro familista, l’afflato equinofilo, Duguay (anche sceneggiatore con Lilou Fogli, che firmò il primo Bella & Sebastien) perde presto la misura, componendo comin’ of age animalista fin troppo prevedibile e approssimato (nei caratteri come nei due mondi tratteggiati).
Sorvolando sulla didascalicità dei dialoghi, nell’abbondanza di registri toccati e abbandonati, il cineasta salta tra la villa con maniero e l’ippodromo con un pentagramma stilistico discutibile, costruito a base di droni (da cartolina) e campi lunghissimi. Fanno storcere il naso, inoltre, se non addirittura sbadigliare anche le scene di corsa: il montaggio di Sylvain Lebel non è né epico, né avvincente, né spettacoloso, ma sterile, puramente di servizio. Si sperpera così l’abbondante, variegato collante emotivo del romanzo di partenza (il dramma famigliare, le corrispondenze uomo-animale, il microcosmo delle corse, il romanzo di formazione, ambizioni e obiettivi dei personaggi).
Anche così si spiega perché una nuvola di superficialità, approssimazione di toni e timidezza di fronte ai conflitti si addensa senza rimedio, così, su una storia che pure avrebbe le sue genuine, non trascurabili potenzialità morali e narrative. Invece, Il mio amico Tempesta va al piccolo trotto, franando spesso in ritmo e toni da soap – non è una pecca in sé, ma riferita al contesto – per galoppare senza sussulti né originalità verso il rettilineo spianato del più prevedibile dei finali.