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Il matrimonio di Rosa
Bouquet, anello, abito da sposa, invitati, fotografo di scena e torta nuziale. All’appello non manca nulla per una bella cerimonia… tranne (particolare non da poco) lo sposo. E non perché non si è presentato davanti all’altare, ma perché questo è un matrimonio in solitaria, o meglio Il matrimonio di Rosa diretto da Icíar Bollaín.
Rosa, interpretata dalla bravissima Candela Peña (vincitrice di tre premi Goya, di cui uno grazie al suo ruolo in un altro film del 2003 sempre diretto dalla Bollaín, Ti do i miei occhi) è una quarantenne tuttofare. Lavora come sarta, ha un papà (Ramón Barea) di cui si deve occupare perché è rimasto vedovo, una figlia (Paula Usero) con due gemelli piccoli che si è traferita a Manchester e un fratello e una sorella incasinati (interpretati rispettivamente da Sergi López e Nathalie Poza, lui in fase di separazione dalla moglie e con due figli da accudire e lei piuttosto avvinazzata e molto stacanovista). In più ci sono: il fidanzato Rafa (Xavo Giménez) che riesce a vedere a stento, l’amica del cuore (Maria José Hipolito) che le ha lasciato il gatto prima di partire e la vicina di casa che si è raccomandata di annaffiarle le piante.
Insomma Rosa ha veramente poco tempo. Talmente abituata a mettere i bisogni dell’altro davanti ai propri che ha rinunciato completamente a sé stessa. Deciderà di dare una svolta alla sua vita e di trasferirsi da Valencia a Benicasim, il paese di origine della madre, di riaprire la vecchia sartoria di famiglia e soprattutto di organizzare un bel matrimonio: con sé stessa.
Idea nata dopo che la regista lesse un articolo sul “solo wedding”, un tipo di matrimonio che si svolge in Giappone, nel quale le donne possono sposarsi da sole, senza aver bisogno dello sposo. Una pratica che in qualche modo non solo aumenterebbe molto la propria autostima, ma che sottolinea la necessità di impegnarsi in primo luogo verso sé stessi, quella filosofia del sano egoismo che in qualche modo non guasta mai.
Il matrimonio di Rosa ©Natxo-MartínezSemplice e diretto (anche grazie a un cast davvero eccellente) questo film riesce a raccontarci con grande verità e con ironia, con leggerezza e al tempo stesso con estrema profondità, la storia di una donna comune con i suoi problemi e le sue fragilità. Rosa rappresenta tutte le donne. Tutte quelle madri, mogli, figlie e lavoratrici troppo spesso costrette a sacrificare i propri sogni e i propri desideri per l’altro (chiunque esso sia: un marito, un padre, una figlia, un datore di lavoro). Questa sorta di Bridget Jones in salsa spagnola mette in luce con le sue imperfezioni non le contraddizioni di una trentenne single (come faceva la protagonista della famosissima commedia britannica), ma di un’ultraquarantenne alla ricerca non del grande amore, ma della propria felicità.
Per raggiungerla la prima regola è di non cercarla negli altri. Ecco quindi che non serve un altro/a per sposarsi. Il primo matrimonio, il primo patto di fedeltà e di amore, è quello cha va fatto con sé stessi: concedendosi di avere dei sogni e delle aspirazioni, promettendosi di amarsi ogni singolo giorno della propria vita, trattandosi con rispetto e con amore. Sembra semplice, ma troppo spesso ce ne dimentichiamo. Questo film ce lo ricorda. Per cui buona visione e buone promesse (in solitaria) a tutti.