PHOTO
Tra i padri indiscussi della grammatica cinematografica per come la intendiamo ancora oggi, Orson Welles è una figura di cavaliere errante, perennemente (in)attuale come il Don Chisciotte (non a caso il più celebre tra i tanti, tormentati e incompiuti progetti nella filmografia wellesiana), sovvertitore di tradizioni, innovatore e sperimentatore senza requie, fulgido e al tempo stesso sfuggente protagonista dell’arte del Novecento.
Il mago, documentario diretto da Chuck Workman (da noi in sala solo il 30 novembre e il primo di dicembre) lascia saggiamente in disparte il privato per concentrarsi esclusivamente sulla lunga vita artistica del grande demiurgo; dai folgoranti esordi come uomo di teatro a New York all’approdo a Hollywood con la realizzazione, contrastata, dei primi capolavori (Quarto potere e L’orgoglio degli Amberson), l’allontanamento dagli studios e gli anni da “zingaro” trascorsi in giro per l’Europa, accettando ruoli e comparse di ogni tipo pur di racimolare il denaro necessario a finanziare i progetti personali, un’attività frenetica che lo avrebbe reso, suo malgrado, l’iniziatore del cosiddetto “cinema indipendente”.
Ad arricchire il quadro, infine, ci sono i contributi offerti da commentatori d’eccezione, fra cui Martin Scorsese, Peter Bogdanovich e Richard Linklater, e le tante immagini di repertorio che, sommando interviste rilasciate dallo stesso Welles alle sequenze più significative tratte dai suoi film, contribuiscono ad approfondire il ritratto appassionante di un genio irregolare e del bizzarro destino riservato dal tempo alla sua opera: una serie impressionante di progetti massacrati dai produttori, bersagliati dalla critica coeva e incompresi dal pubblico, destinati in seguito a ri-comparire sulla scena con lo status ormai incontestabile di “pietre miliari”.
L’esperienza del cinema di Orson Welles ha lasciato e lascia tuttora un segno indelebile in chiunque l’abbia accostata e la accosti anche con occhio superficiale, segno dell’assoluta centralità di un sommo anticonformista cui forse, col senno di poi, possiamo soltanto rimproverare di esser stato troppo in anticipo sui tempi con la sua idea di cinema come espressione artistica a tutto tondo, non asservita alle leggi del mercato o della moda ma soltanto alle più intime intenzioni dell’autore.