Per durata (un’ora e mezza), fotografia (piatta), regia (abbondanza di primi piani), effetti speciali (approssimativi e facili), immaginario (derivativo), Il magico mondo di Harold somiglia ai tv movie pomeridiani di Disney Channel. Un progetto tormentato, passato per molte mani (qualche nome coinvolto negli ultimi trent’anni: Henry Selick, David O. Russell, Josh Klausner, Dallas Clayton) e che vede Carlos Saldanha per la prima volta alle prese con il live action (nel curriculum L’era glaciale, Rio, Ferdinand: non a caso l’introduzione animata, semplice ed efficace, è la cosa migliore).

All’origine c’è Harold and the Purple Crayon, libro per bambini del 1955 scritto e illustrato da Crockett Johnson, vero classico della cultura americana con protagonista un bambino di quattro anni dotato di un magico pastello viola che gli permette di creare un mondo tutto suo semplicemente disegnandolo.

Nel film, il piccolo Harold sente la voce del suo “vecchio”, il papà che non ha mai conosciuto essendo frutto di una finzione artistica, che proviene da un aldilà subito determinato nel “mondo reale”: è un pretesto che gli permette di passare da una dimensione all’altra e così da bambino stilizzato si trasforma in goffo e sorridente quarantenne (Zachary Levy), accompagnato dai fedeli Alce (Lil Rel Howery) e Porcospino (Tanya Reynolds) anche loro antropomorfizzati. Qui, alla ricerca del padre, conosce un bambino orfano e sua madre (Benjamin Bottani e Zooey Deschanel, che ovunque la si metta è sempre luminosa benché sprecata), incappa in un bibliotecario mitomane (Jemaine Clement) e deve salvare il mondo.

Dozzinale nell’esecuzione, addirittura lento nella prima parte che non sa trovare né un ritmo da avventura brillante né gli strumenti per dare consistenza e credibilità all’incantesimo (è tutto molto frettoloso, quello di Harold è un potere talmente ingiocabile che tutto si risolve senza un brivido), Il magico mondo di Harold segue il metodo dei Puffi (cioè il film del 2011).

Un tentativo, insomma, di giocare con l’immaginario e con l’immaginazione del pubblico non tanto attraverso il tradizionale adattamento di un testo ma portando i personaggi nella realtà (tra fan, lettori, cultori), con la visita finale alla casa di Crockett Johnson, l’autore di Harold, un omaggio che è soprattutto un modo per sottolineare lo schema progettuale senza troppa fantasia. Comunque rassicurante per le famiglie.