Tra le case di distribuzione che negli ultimi tempi hanno saputo costruire una propria identità c’è di sicuro la piccola, ma meritoria, Officine Ubu. Da anni si concentra sulla crescita, sul rapporto tra generazioni, e soprattutto sulla didattica. Ha scommesso su un outsider come Lunana – Il villaggio alla fine del mondo, un esordio dal Buthan firmato da Pawo Choyning Dorji, che poi è arrivato fino agli Oscar. E adesso porta in sala Il maestro che promise il mare di Patricia Font. Anche qui si parla di una piccola comunità, di una classe che ha bisogno di sognare.

Siamo in Spagna, poco prima del franchismo. Un maestro sui generis vuole accarezzare il futuro, infondere coraggio con metodi non canonici. Ha un’impostazione laica (toglie il crocifisso da muro, per la gioia del prelato…), fa stampare piccoli quaderni ai suoi alunni, utilizzando la tipografia come mezzo di apprendimento. Un giorno promette loro che vedranno il mare per la prima volta, ma la realtà forse non sarà clemente con i loro sogni.

La scuola si conferma un sempreverde al cinema. Lo sguardo è a L’attimo fuggente di Peter Weir, ma, tralasciando per un attimo i pilastri del genere, in pochi mesi abbiamo visto The Holdovers – Lezioni di vita di Alexander Payne, Un mondo a parte di Riccardo Milani e il capolavoro Racconto di due stagioni di Nuri Bilge Ceylan. Stati Uniti, Italia, Turchia e adesso Spagna. In Il maestro che promise il mare, vibrante successo in patria, lo sguardo è anche politico. Il protagonista Antonio Benaiges è davvero esistito, e nella penisola iberica è un eroe, che si è opposto all’avanzata dell’oppressione. In Spagna il franchismo è una ferita ancora aperta, raccontata con ardore in Il labirinto del fauno di Guillermo Del Toro e anche in Madres Paralelas di Pedro Almodóvar. Le fosse comuni, le migliaia di vittime, le esecuzioni di massa. Il maestro che promise il mare gioca con piani temporali diversi.

Nel 2010 una donna cerca il suo bisnonno, caduto sotto il regime, che in qualche modo era collegato al professor Antonio. La sua indagine è un percorso di autodeterminazione, inseguendo una cura che non potrà mai lenire quel dolore. Lei rappresenta una nazione che capisce il valore della memoria, che non vuole e non deve dimenticare. L’antidoto al veleno del fascismo è il ricordo, come sottolinea la cineasta Patricia Font. Il suo film guarda al presente con inquietudine, è pieno di umanità, si dimostra attuale. Niente di nuovo, s’intende. Ma lo spirito pedagogico è importante, l’anima del racconto è trasversale, si rivolge a ogni generazione.

Con il mare che diventa, con cinefila nostalgia, l’oggetto del desiderio, l’immagine di un luogo impossibile da raggiungere, in cui dovrebbe regnare la pace. Ma anche oltre la costa sono in vigore regole spietate. Come scriveva Hemingway: “Pesce ti voglio bene e ti rispetto molto. Ma ti avrò ammazzato prima che finisca questa giornata”. Il romanzo era Il vecchio e il mare, e avrebbe visto la luce qualche decennio dopo. Ma in quelle righe forse è racchiuso lo spirito di Antonio Benaiges, troppo in anticipo per il suo secolo, ma da allora proiettato verso il futuro.