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Sembra passata una vita da Là-bas – Educazione criminale, folgorante esordio dietro la macchina da presa di Guido Lombardi. Oggi, otto anni più tardi, il regista napoletano classe ’75 porta sullo schermo (e alla XIV Festa di Roma) l’adattamento del suo omonimo romanzo, Il ladro di giorni (Feltrinelli, 2019).
La storia è quella di Salvo (Augusto Zazzaro), ragazzino undicenne che da tempo vive in Trentino con gli zii. Il giorno della sua Prima Comunione ricompare senza preavviso suo padre Vincenzo (Riccardo Scamarcio), che ha trascorso gli ultimi sette anni in carcere. L’uomo dice di voler passare qualche giorno con il figlio e parte con lui verso il sud, verso la Puglia, dove quel ragazzino è nato.
“È il racconto di un incontro, tra un figlio che ha quasi dimenticato di avere un padre e un padre che stenta a riconoscere in quel bambino suo figlio”, si legge nelle note di regia di Guido Lombardi, che al terzo lungo di finzione (il secondo, Take Five, era del 2013, mentre tre anni fa ha firmato un episodio di Vieni a vivere a Napoli) sembra aver definitivamente perso il gusto per quello stile-verità che ne aveva caratterizzato l’esordio.
Il ladro di giorniMovimenti di macchina insistiti e ralenti improbabili non fanno altro che gravare uno script già di per sé abbastanza discutibile (firmato dal regista insieme a Luca De Benedittis e Marco Gianfreda), infarcito di incontri e situazioni inverosimili, sia per quello che riguarda il presente di questo viaggio, sia per quello che riguarda il passato criminale di Vincenzo. Che poi è “passato” per modo di dire. E finirà per incidere anche sul “nuovo” rapporto padre-figlio.
“Un bambino è meglio di una pistola”, una delle tante frasi (s)cult del film, perennemente in cerca di simboli (la rupe da cui tuffarsi) e appigli (l’action figure di Mazinga) su cui far leva lungo tutto il percorso dei due protagonisti.
Il ladro di giorniPer carità, le intenzioni saranno sicuramente nobili (e non a caso il film si chiude con la dedica “a mio padre”), ma Il ladro di giorni – titolo che viene “spiegato” lungo la narrazione – è sempre insicuro sul registro da intraprendere (road movie? Noir? Gangster movie? Si accenna anche al western ad un certo punto…) e anziché creare complicità con lo spettatore finisce per irritare, in un’escalation di assurdità difficilmente perdonabili.