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Il grande passo
Gemelli diversi. Nella realtà e nella finzione, dove condividono il set per la prima volta: Giuseppe Battiston e Stefano Fresi.
Nell’opera seconda di Antonio Padovan (Finché c’è Prosecco c’è speranza) Il grande passo incarnano rispettivamente Dario e Mario Cavalieri, due fratelli, meglio, fratellastri simili fisicamente, ma differenti per carattere, storia e volontà: il primo nel rovigotto sogna, anzi, progetta di andare sulla Luna, il secondo vivacchia con mamma a Roma, auto-recluso nella ferramenta di famiglia. E’ Dario a scuoterlo dal torpore, e nel modo più fragoroso possibile: il razzo che dovrebbe portarlo sul nostro satellite va a fuoco, nell’indifferenza del padre che hanno in comune, Mario è l’unico parente che può occuparsene e scongiurarne il TSO, sicché volente o nolente parte per il Veneto, la valigia preparata dalla mamma, pane e cotoletta pure.
Nel cast di supporto, ottimo, anche Roberto Citran, Camilla Filippi, Vitaliano Trevisan, Teco Celio e Flavio Bucci, Fresi e Battiston dimostrano affiatamento, "chimica", insomma, oltre al fenotipo c'è di più.
Se ambientazione e atmosfere non sono inedite, ovvero mazzacuratiane, né il rapporto tra i due fratelli, uno bonario e “fregnone”, l’altro orso e “matto”, s’affranca dal già visto, per tacere delle assonanze con il recente L’uomo che comprò la luna di Paolo Zucca, nondimeno, Padovan conferma la facilità e felicità di regia dell’esordio e, trasformando la sceneggiatura a quattro mani con Marco Pettenello, si concede la libertà di qualche bella immagine (fotografia di Duccio Cimetti) e, sopra tutto, l’agio di effetti speciali per il lancio dei razzi di gran resa, di valore non banale. Ecco, queste sì sono sequenze inedite per il cinemino nostro, e le musiche – splendide – di Pino Donaggio elevano tutto a potenza epica, anzi, lirica, quasi a farne un Gattaca nostrano.
Insomma, se non manca qualche debolezza drammaturgica, qualche calo di ritmo e qualche annotazione edificante di troppo, né la sceneggiatura rifugge sempre dai didascalismi (si verbalizza spesso quel che abbiamo appena visto, ahinoi), Il grande passo è forse un passettino, eppur nell’asfissia creativa, nella carenza empatica del nostro cinema si muove. Del resto, non vogliamo mica la luna, basta l’intenzione di: un piccolo passo per l’umanità, in platea.