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Il grande match
Pittsburgh, giorni nostri. Una trentina d'anni fa, la città si divideva seguendo le gesta di Henry "Razor" Sharp (Sylvester Stallone) e Billy "The Kid" McDonnen (Robert De Niro), due mediomassimi che arrivarono a sfidarsi due volte per il titolo, vincendo un incontro ciascuno. Alla vigilia del terzo e decisivo match, però, Razor annunciò a sorpresa il ritiro, senza fornire alcuna spiegazione, di fatto troncando la carriera ad entrambi. Oggi, 30 anni dopo, il promoter Dante Slate Jr. (Kevin Hart) è deciso più che mai a farli tornare a combattere, spinto dalla possibilità di fare un mucchio di soldi: ma arrivare al match non sarà facile, vista l'antica ruggine che corre tra Razor e Kid (c'è una donna di mezzo, l'ancora splendida Kim Basinger, e figli sconosciuti), chiamati entrambi - seppure in modi diversi - a fare i conti con i fantasmi di un passato mai del tutto dimenticato.
Nostalgia canaglia: cinema e boxe è un binomio da sempre affascinante, addirittura epico quando lo schermo ha ospitato capolavori quali Toro scatenato o iconiche saghe come quella di Rocky. Pensi al ring, alla sofferenza, a quello che c'è dietro e inevitabilmente le facce che ti si presentano sono quelle di Robert De Niro e Sylvester Stallone. I quali, per il film diretto da Peter Segal, si rimettono in gioco (rispettivamente a 70 e a 67 anni) su due livelli: da una parte scherzando su quei due personaggi indimenticabili (Stallone che si ritrova a tu per tu con i quarti di bue o che viene costretto dal vecchio allenatore interpretato da Alan Arkin a bere uova per colazione; De Niro che - proprio come accadeva a Jake LaMotta, si "reinventa" showman esibendosi in cabaret di quart'ordine, terribilmente provato nel tentare di mettere giù qualche chilo di troppo), dall'altra riflettendo sulle possibilità che la terza età ti offre per sfruttare una seconda chance. Lo sport, la boxe nello specifico, diventa dunque ancora una volta metafora di vita, attraverso la quale il cinema tenta di riflettere anche su altro (e Il grande match si piazza precisamente in mezzo ai due estremi rappresentati dall'immortale film di Scorsese e dalla saga interpretata da Stallone). In questo caso giocando con i tempi della commedia e la malinconia di due personaggi così lontani uno dall'altro da non potersi più "separare" una volta saliti sul ring.