Ogni opera è un testo aperto, figuriamoci ora che il postmoderno non è più un’avanguardia ma il passato continua a starci addosso, perfino a ricattarci. E quindi, sì, non c’è lesa maestà nel rifare Il Gattopardo: romanzo, certo, vergato dal principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa e dato alle stampe post mortem, che sta lì a spiegare il passato, interrogare il presente, alludere al futuro; ma anche film, anzi kolossal, firmato dal conte Luchino Visconti di Modrone, che si è infilato nell’immaginario collettivo costituendosi come metro di paragone e spartiacque industriale.

Tornare al Risorgimento per discutere non tanto gli esiti (l’Unità d’Italia) quanto i modi è una consuetudine tutta italiana, tant’è che la battuta più iconica del capolavoro, sia testo sia audiovisivo, cioè “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” sta proprio lì a fornirci tutto ciò che ci occorre per allegorie facili e parafrasi spicce. Di tutto questo discorso sulle utopie disattese, sul crepuscolo di un mondo, sulla quiete (altrui, d’una nobiltà arroccata nei propri privilegi: che mangino timballi, insomma) prima della tempesta (la rivoluzione dei barbari), non c’è traccia nella versione seriale del Gattopardo targata Netflix, prodotta da Indiana Production e Moonage Pictures, disponibile dal 5 marzo in sei puntate.

Francil Gattopardo. (L to R) Dalila Ricotta as Caterina, Francesco Colella as Sedara, Deva Cassel as Angelica, Saul Nanni as Tancredi, Benedetta Pocaroli as Concetta, Kim Rossi Stuart as Fabrizio, Greta Esposito as Chiara in episode 103 of Francil Gattopardo. Cr. Lucia Iuorio/Netflix © 2024
Francil Gattopardo. (L to R) Dalila Ricotta as Caterina, Francesco Colella as Sedara, Deva Cassel as Angelica, Saul Nanni as Tancredi, Benedetta Pocaroli as Concetta, Kim Rossi Stuart as Fabrizio, Greta Esposito as Chiara in episode 103 of Francil Gattopardo. Cr. Lucia Iuorio/Netflix © 2024
Francil Gattopardo. (L to R) Dalila Ricotta as Caterina, Francesco Colella as Sedara, Deva Cassel as Angelica, Saul Nanni as Tancredi, Benedetta Pocaroli as Concetta, Kim Rossi Stuart as Fabrizio, Greta Esposito as Chiara in episode 103 of Francil Gattopardo. Cr. Lucia Iuorio/Netflix © 2024 (LUCIA IUORIO/NETFLIX)

E non si tratta di paragoni e confronti: l’adattamento, curato da Richard Warlow e Benji Walters e diretto da Tom Shankland (con Giuseppe Capotondi e Laura Luchetti alla regia di due episodi, rispettivamente quarto e quinto), preferisce concentrarsi sulla saga familiare, sul racconto delle dinamiche interne di un mondo in crisi, dominato sì da un patriarca, Don Fabrizio Corbera ovvero il principe di Salina, più orgoglioso dei diritti acquisiti che disincantato di fronte ai cambiamenti (lo interpreta Kim Rossi Stuart), ma letto soprattutto attraverso lo sguardo della di lui figlia, Concetta (Benedetta Porcaroli, già volto simbolo della Netflix italiana grazie a Baby).

È un’interessante scelta di campo, che diverge dalla fonte (e, ribadiamolo, non è un problema) ma che riflette completamente tutti i problemi dell’adattamento: inadeguato nel sondare le disfunzioni generazionali (le pur aspre critiche del figlio ribelle sembrano vacui distillati sessantottini), improbabile nel restituire i rapporti di forza (davvero l’amore tra padre e figlia giustifica i margini di manovra dialettici di una giovane donna di metà Ottocento a cui non era concessa alcuna libertà decisionale?), sproporzionato nel gestire il lasco sviluppo narrativo (possibile che Visconti riuscisse a dire tutto in poco più di tre ore?).

Il Gattopardo. Benedetta Porcaroli as Concetta in episode 101 of Il Gattopardo. Cr. Lucia Iuorio/Netflix © 2025
Il Gattopardo. Benedetta Porcaroli as Concetta in episode 101 of Il Gattopardo. Cr. Lucia Iuorio/Netflix © 2025
Il Gattopardo. Benedetta Porcaroli as Concetta in episode 101 of Il Gattopardo. Cr. Lucia Iuorio/Netflix © 2025 (LUCIA IUORIO/NETFLIX)

Non aiuta la destinazione globale (il doppiaggio internazionale annullerà il discutibile accento creolo sfoderato da tutto il cast), con una Sicilia da esportazione restituita tra stanca oleografia e agevole folklore: almeno Il siciliano di Michael Cimino era spudorato e volgare nel reinventare il paesaggio, qua c’è solo il digest algoritmico di un’Italia da cartolina, dove gli sfarzosi abiti dei nobili valgono le camicie rosse dei Garibaldini in una specie di carnevale nazionale.

Privo di gravitas, carente nell’autorevolezza, ossequioso rispetto agli schemi del player, con un cast qua e là poco più che decorativo (più degli splendidi Deva Cassel e Saul Nanni come Angelica e Tancredi, spiccano l’espressivo padre Pirrone di Paolo Calabresi e il Sedara di Francesco Colella), Il Gattopardo è un’operazione stimabile per l’ambizione industriale ma che del kolossal anelato ha più che altro lo scafandro.