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Un apprendista "furbetto del quartierino" (Christian De Sica) porta via gli appartamenti alla moglie (Laura Morante) e l'abbandona, con due piccoli figli a carico. Sarà la donna, candida, tardo - e tarda - fricchettona, a crescerli, mentre l'ex marito in 16 anni costruisce una holding su menzogne, magheggi e magagne, supportato da un commercialista "angelo custode" (Luca Zingaretti): quando sente sul collo il fiato della guardia di finanza, convocherà il figlio più piccolo e ingenuo (l'esordiente Nicola Nocella), che si illuderà sia il ritorno del padre prodigo…
Così Pupi Avati chiude la trilogia dei padri, inaugurata con La cena per farli conoscere e proseguita con Il papà di Giovanna: è Il figlio più piccolo, scritto e diretto dal regista bolognese, prodotto dal fratello Antonio con Medusa, che distribuisce.
Nel mirino l'indecenza e l'alegalità diffusa della nostra società, il denaro e la famiglia come temi portanti, questo Figlio vuole essere duro nei contenuti e leggero nella forma: in altre parole, commedia dai risvolti drammatici, anzi farseschi e grotteschi. Dalla sua, un cast azzeccatissimo e sinergico, con De Sica che si prende una pausa dai cinepanettoni e si ritrova a uscire dal carcere in piena estate con un panettone scaduto: bravo lui, bravi gli altri, e non mancano battute, tic e persino maschere da commedia all'italiana, quella capace di fustigare col sorriso e le grasse risate.
Fin qui, tutto bene, ma a non tornare sono altri conti: stilistici, perché la prolificità di Avati (1,3 film l'anno) paga lo scotto di scenografie e presa diretta approssimative, che non rendono "formale giustizia" allo j'accuse del regista: "Anche per un moderato come me quel che è troppo - l'Italia odierna - è troppo". Non solo, Avati elogia l'ingenuità, il candore come antidoto al Brutto Paese, ma sicuri che l'alternativa non stia nel rigore? Un personaggio rigoroso il film lo offre - il figlio più grande, che smaschera e ripudia papà - ma se lo dimentica: che fine ha fatto lui? Che fine stiamo facendo noi?