La storia vera di Walter McMillian e dell'avvocato Bryan Stevenson. Solido cinema dalla parte degli ultimi, con Michael B. Jordan, Jamie Foxx e Brie Larson
L’altra faccia di Sweet Home Alabama dei Lynyrd Skynyrd, dove il cantante Ronnie Van Zant se la prendeva con Neil Young dicendo: “Un uomo del sud non ha comunque bisogno di lui”. La stoccata era per i testi di Alabama e Southern Man, con cui Young criticava lo spirito razzista di quella terra. Ed è proprio da qui che parte Il diritto di opporsi.
Colore della pelle, disuguaglianze, una condanna ingiusta per una persona che agli occhi della società è nata criminale. La sua colpa è di essere afroamericano, di mettere in dubbio la superiorità dell’uomo bianco già solo con la sua esistenza. Il suo nome è Walter McMillian, accusato ingiustamente dell’omicidio di una diciottenne e condannato a morte. A difenderlo c’è l’avvocato Bryan Stevenson, che ancora oggi combatte nei tribunali d’oltreoceano. Il caso che il film racconta è accaduto davvero.
Il regista Destin Daniel Cretton non ha bisogno di calcare la mano per mettere in scena un legal thriller solido, con un tris d’assi come Michael B. Jordan, Jamie Foxx (il migliore dei tre) e Brie Larson. Confronta la realtà con la finzione, sottolinea più volte che l’omicidio è avvenuto a Monroeville, dove Harper Lee ha scritto Il buio oltre la siepe. L’ingiustizia viene perpetrata proprio dove la grande autrice aveva lanciato il suo messaggio di speranza.
Per tutto il film la figura di Atticus Finch (che per molti ha sempre il volto di Gregory Peck) aleggia per le strade deserte di una provincia dove, per antichi retaggi, il diverso fa ancora paura. Stevenson è il nostro Atticus. Non ha la carnagione chiara, ma è dalla parte del più debole, e fa propria la causa dei suoi clienti. Avrebbero avuto bisogno di lui anche i ragazzi della miniserie When They See Us, diretta da Ava DuVernay. Lì si parlava di uno stupro (come ne Il buio oltre la siepe), qui di un brutale assassinio. Ma tutto è collegato, e la vicenda affonda le radici nei principi per cui cineasti come Spike Lee lottano da decenni.