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Il destino nel nome
Jhumpa e Gogol. Nomi buffi e improbabili. La prima è una scrittrice americana, ma nata a Londra e di origine indiana, Jhumpa Lahiri. Il secondo è il suo protagonista, Gogol Ganguli, suo alter ego al maschile (come tutti i protagonisti dei suoi romanzi) nel romanzo L'omonimo. Libro di intima bellezza e sensibilità, grazie a Mira Nair ha visto un imprevedibile adattamento cinematografico, Il destino nel nome. Non prevedibile perché nella storia di immigrazione, contaminazione ed emancipazione della famiglia Ganguli c'era grande forza, ma anche un'apparente impenetrabilità. Quelle della Lahiri (a cui è stato ritagliato un cameo) sono pagine intense e silenziose, come i rapporti familiari che racconta, e Mira Nair, ispirata dall'immedesimazione e dall'opera, ha saputo donar loro movimento e dialogo. In questo modo libro e film non gareggiano, come spesso accade nei difficili rapporti letteratura-cinema, ma diventano complementari. La storia è di una complessa semplicità: Ashoke (Irrfan Khan) lavora negli USA e torna in India per prender moglie. Sceglierà una giovane e bellissima donna, Ashima (Tabu). Andranno a vivere negli Stati Uniti. Di qui percorriamo con loro venticinque anni, in cui il corpo è a New York e l'anima, soprattutto per lei, a Calcutta. Nasceranno due figli, che vivranno il dramma inverso. Una storia di immigrazione di prima e seconda generazione, attualissima. Una famiglia che vive, trasversalmente, il terremoto generazionale ed etnico, alienazione potenzialmente devastante, in cui ogni gesto può sembrare ribellione o repressione. Il centro di tutto è proprio Gogol, il destino del cui nome è fulcro e pretesto di questa piccola epopea familiare e universale. Un intenso e bravissimo Kal Penn, dopo essere diventato un eroe del cinema trivial-demenziale (Maial College, American Trip, Epic Movie) sorprende con una interpretazione sontuosa, sobria e completa come il mosaico che disegna la regista.
Per la recensione completa leggi il numero di giugno della Rivista del Cinematografo