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La parola alla Storia. Sono passati quarant’anni dall’omicidio di Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale Presidente della Repubblica. Era il 6 gennaio del 1980. Mattarella ricopriva la carica di Presidente della Regione Sicilia. Prima la pista del terrorismo, poi quella che portava ai corleonesi, anche grazie alle dichiarazioni di Tommaso Buscetta, collaboratore di giustizia su cui Marco Bellocchio ha costruito Il traditore, e Gaspare Mutolo. Si tratta di una delle pagine più dure della cronaca nera italiana. Diventa quindi importante ragionare sul concetto di memoria, continuare a parlare del passato anche attraverso il grande schermo.
Il delitto Mattarella, tra i primi film a tornare in sala dal 2 luglio, si presenta come un esempio di cinema civile, sulla scia di grandi maestri come Francesco Rosi ed Elio Petri. Il regista Aurelio Grimaldi aveva già dimostrato il suo spirito militante nel 2004 in Se sarà luce sarà bellissimo, sul rapimento di Aldo Moro. Per problemi produttivi, il film è uscito nel 2008. Forse la storia più personale diretta da Grimaldi è quella di Nerolio, un ritratto controverso di Pasolini.
In Il delitto Mattarella c’è l’attenzione per la tragedia, la necessità di non ripetere gli errori di qualche decennio fa. Grimaldi cerca di ricostruire le difficoltà politiche del periodo, il rapporto tra Andreotti e la mafia, fino ad arrivare alla Banda della Magliana e a Gladio, organizzazione paramilitare promossa dalla Cia per contrastare un’eventuale invasione dei sovietici in Europa. Ma è proprio il peso degli eventi a schiacciare il film.
La voce fuoricampo è fin troppo pressante, nel tentativo di aiutare la platea a collegare gli avvenimenti. E nel finale si assiste a quasi dieci minuti di scritte, in un eccesso di informazioni che distrugge lo svolgersi della vicenda. Il delitto Mattarella non sa quindi se essere un film di finzione, un documentario, o uno “speciale” televisivo.
Alcuni personaggi attraversano le inquadrature come meteore, impossibili da fermare, anche da decifrare per chi non padroneggia l’argomento. Sarebbe servito un po’ più di respiro a livello narrativo, eliminando qualche dialogo troppo verboso, ed evitando anche di enfatizzare il dolore nel momento della morte del protagonista.
Una curiosità: negli ultimi tempi anche Franco Maresco aveva sfiorato la famiglia Mattarella. Il suo bellissimo La mafia non è più quella di una volta ha conquistato e fatto discutere all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Ed è il modello più luminoso da seguire per chiunque oggi voglia condannare la criminalità di ogni epoca.