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Il curioso caso
di Benjamin Button
L'uragano Katrina ruggisce contro le finestre di una stanza d'ospedale. Distesa sul letto Daisy (Cate Blanchett), assistita dalla figlia (Julia Ormond), aspetta la morte e l'approssimarsi della tempesta che devasterà New Orleans, sommergendo un vecchio orologio costruito da un padre annichilito dalla scomparsa del figlio. Le lancette di quell'orologio, muovendosi a ritroso, sono il countdown delle ore che precedono le perdite irreparabili di cui è intessuta la vita di ognuno. Il tempo di Daisy sta per finire, gli ultimi minuti quelli che non possono più ferire o fare del male. Chiede alla figlia di leggerle un diario custodito tra le sue cose. Pagine e pagine scritte da Benjamin Button (Brad Pitt) che narra il suo straordinario e assurdo destino. Quello di un uomo, nato nel 1918, nel giorno in cui si festeggia la fine della guerra. La madre muore durante il parto e il padre Thomas Button (Jason Flemyng), sconvolto dal suo aspetto lo abbandona sulle scale di una casa di riposo gestito da Queenie (Taraji P. Henson). Benjamin è un neonato ma ha l'aspetto rugoso e fragile di un ottantenne. La sua avventura attraverso il Novecento è segnata dal passaggio inesorabile dal tramonto all'alba della sua esistenza. Nato anziano e malfermo sulle gambe, crescerà ringiovanendo anno dopo anno: il vecchio imprigionato nel corpo di un infante diventerà un giovane con un'anima attempata. Il curioso caso di Benjamin Button di David Fincher (uno dei talenti più strutturati e floridi del cinema americano moderno), ispirato a un breve racconto di F.Scott Fitzgerald ed esito di una lunghissima gestazione, è una commovente e calda meditazione sul tempo (biologico e cinematografico), un affresco di temi ed emozioni, l'odissea di un Candido che più che decifrare o elaborare pensieri profondi o acuti sugli eventi della Storia si chiede quanto si possa essere eroe e protagonista della propria storia, di quella vicenda circoscritta, limitata e provvisoria, che tutti si trovano ad interpretare. Benjamin Button sta alla prima metà del secolo scorso come Forrest Gump sta alla seconda. Le analogie tra i due film e i due personaggi sono dovute allo stesso sceneggiatore, Eric Roth. Abbandonandosi (azione non casuale e patto di fiducia proposto dal film allo spettatore ) al flusso delle immagini - lavorate con scrupolo e qualche eccesso manieristico dal regista - alla voce narrante, alle oscillazioni affettive tra presente e passato, alla mappatura dei paesaggi e dei passaggi psicologici, si apprezza la fusione tra tecnologia, effetti speciali, "trucco" e valori di un racconto sviluppato secondo le norme della sintassi classica. Come Big Fish, altro film meraviglioso sul desiderio di inventarsi e di sostenere il peso di una biografia insolita, Benjamin Button è un film sull'amore assoluto. L'amore materno sembra prevalere sulle altre accezioni possibili, quali la passione, differita dal diagramma anagrafico, tra il protagonista e Daisy, l'amore sovrastato dalla nostalgia per i familiari e gli amici perduti, l'amore di due solitudini nelle notti di parola spese nella cucina di un albergo. Il film ci rammenta che il tempo continua ad essere una convenzione. Un décalage di coincidenze, di inversioni di marcia, di bivi e ardui tornanti. Il nostro personale orologio accelera, frena, si inceppa. Per qualche frazione di secondo ci disloca in un flashback dell'esperienza. Vale la pena nuotare, conoscere tutto sui bottoni, ballare, essere colpiti da un fulmine, essere madri perché la vita e l'amore sono in prestito e, prima o poi, bisogna restituirli.