Rimasto tra i pochi in Italia ad amare realmente il cinema di genere per come è e non per come potrebbe essere, senza personalismi né svolazzi, Vincenzo Alfieri realizza con Il corpo probabilmente il miglior thriller italiano dell’anno – non che ce ne fossero molti - continuando a cercare un dialogo onesto con il vecchio pubblico della sala, ultimamente coccolato soprattutto dalle piattaforme.
Il film è il quarto remake di un giallo spagnolo di oltre dieci anni fa e un quinto sarebbe in preparazione negli Stati Uniti. Segno di un congegno narrativo che funziona a tutte le latitudini. A costo di perdere un po’ di specificità. Del resto, il progetto è una co-produzione
tra Sony Pictures International Productions e Eagle Pictures, è nato cioè con tutti i crismi del prodotto globale.

L’azione principale si svolge tutta in una notte, ma Alfieri e lo sceneggiatore Giuseppe G. Stasi (The Bad Guy) rompono la linea temporale attraverso diversi flashback che, come finestre, ci permettono di guardare dentro i fatti. Il film dà così allo spettatore un piccolo vantaggio conoscitivo rispetto all’ispettore Cosser (Giuseppe Battiston) e al collega Mancini (Andrea Sartoretti), i due detective che indagano sulla misteriosa sparizione del cadavere di una donna dall’obitorio. Non un cadavere qualsiasi: quel corpo appartiene alla proprietaria di un importante gruppo farmaceutico italiano, Rebecca Zuin (Claudia Gerini), uccisa da un infarto. Il sospetto trafugamento è solo uno dei misteri. C’è il guardiano dell’obitorio in coma, un’autopsia già programmata per il giorno dopo e il giovane marito della donna, Bruno Forlan (Andrea Di Luigi), alquanto nervoso. Il caso è aperto.

Andrea Di Luigi e Claudia Gerini ne Il corpo, photo by Gianfilippo De Rossi
Andrea Di Luigi e Claudia Gerini ne Il corpo, photo by Gianfilippo De Rossi

Andrea Di Luigi e Claudia Gerini ne Il corpo, photo by Gianfilippo De Rossi

Alfieri conosce e applica regole e stilemi di genere – l’ambientazione notturna, la pioggia battente, la claustrofobia degli spazi – infiocchettando un congegno narrativo ben oleato, che tiene incollati alla poltrona dall’inizio alla fine. Anche i personaggi rispondono a una precisa tipologia: il detective cinico e disincantato, rotto dalla vita (Battiston), affiancato dal collega protettivo (Sartoretti); il marito bello e tenebroso, subdolo e degno di ogni sospetto (Di Luigi); la giovane e focosa amante (Amanda Campana); e ovviamente la ricca defunta (Gerini), arrogante e manipolatrice, la vittima che “un po’ se l’è andata a cercare”.

Da Battiston alla Gerini, il cast risponde presente, a suo agio nelle maschere che il copione gli impone. Poco da dire insomma, ci si diverte. A patto di chiudere un occhio sulla questione della plausibilità e non aspettarsi spessore da caratteri che, con una cura maggiore, avrebbero potuto avere qualche sfumatura in più. Dettagli che non pregiudicano l’esito ma che fanno tutta la differenza del mondo tra la dimensione della piattaforma e la dignità della sala. Per chi ambisce alla seconda fare del buon cinema di genere potrebbe non bastare più.