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Il comandante e la cicogna
Le statue parlano: Garibaldi, Leopardi, Leonardo Da Vinci e il fantomatico proto-leghista Cazzaniga, che finisce decollato. Appunto, parlano, ma non si muovono: statiche, a cantar ironicamente le miserie, le bassezze e le truffe del nostro italico presente. Ed è abbastanza sintomatico: immobilità del pro filmico o immobilismo del film? Nel frattempo, non c'è un dove le aquile possano ancora osare, ma vola vola la cicogna...
Il comandante e la cicogna è il nuovo film di Silvio Soldini, la sua terza commedia dopo Pane e tulipani e Agata e la tempesta, e non è riuscito. “Utilizzare la commedia per dire le cose più direttamente”, l'intenzionale zenith, ma l'affresco socio-antropico è sbiadito, esile più che tenue, acquarellato in una mediocrità - tra il grottesco e il realistico, alla ricerca di un surrealismo urbano rivelatore… - poco aurea. Ci sono gli attori, usati quali attanti, figurine di un bassorilievo poco introspettivo, senza aggetti e affondi decisivi sul qui e ora: il chiaroscuro proprio no, per cui si rischia di non contrastare abbastanza, almeno drammaturgicamente, la melma sociale. In altre parole, si vola al di sopra, tremila metri sopra il cielo, mentre, si sa, la vera sfida è volare rasoterra, Baumgartner ci perdoni.
I protagonisti, dunque: Valerio Mastandrea, idraulico con due figli adolescenti - Luca Dirodi, l'amico della cicogna, e Serena Pinto, vittima di para-sexting - e una moglie defunta, Claudia Gerini, che in bikini e pareo gli compare la notte; Alba Rohrwacher, caschetto nero, occhiali simil-Arisa e pochi soldi nelle tasche d'artista; Giuseppe Battiston, suo affittuario e strampalato moralizzatore metropolitano, tutto sandali, borsello e sentenze; l'avvocato truffaldino Luca Zingaretti, con tupé e favella meneghina, e, appunto, le statue degli illustri, che con severità e ironia guardano alla nostra deriva organica.
Purtroppo, queste statue hanno un alter ego scoperto, ovvero Soldini e i suoi, che nemmeno nascondono troppo il loro aristocratico distinguo, il loro non volare, semplicemente essere al di sopra della melma morale in cui il Bel Paese sguazza. Si può fare un film con queste intenzioni senza sporcarsi - artisticamente - le mani? Non crediamo, non è questo il momento di loci amoeni, horti conclusi, buen retiri & gabbie dorate, proprio no. E dare agli uccelli - a chi il guano, a chi la cicogna - il giudizio finale, beh, c'è lo zampino di Esopo o l'artiglio della Lipu?