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Il colore viola
Chi non ricorda Il colore viola? Il film diretto da Steven Spielberg con protagonista Woophi Goldberg. Ecco a distanza di quasi quarant’anni arriva nelle sale con Warner Bros un’audace rivisitazione in chiave musical di quest’amato classico. Più leggero, pur non rifuggendo i momenti più duri, e senza dubbio più contemporaneo, diretto da Blitz Bazawule e basato sul romanzo di Alice Walker (Il colore viola, 1982), vincitore del Premio Pulitzer, questo film ci porta dentro una storia di amicizia e fratellanza tra donne nere che condividono un legame indissolubile e che forgeranno la propria identità trovandosi a contrastare le avversità del Sud America rurale, nella Georgia segregazionista dell’inizio del XX secolo.
Le donne sono le protagoniste. Per cui: Taraji P. Henson, candidata agli Oscar come migliore attrice non protagonista, nel ruolo di una cantante blues molto sensuale ovvero Shung Avery, Danielle Brooks nei panni di Sofia, una donna che combatte il patriarcato con tutte le sue forze, e le brave Halle Bailey (la Sirenetta nel live-action della Disney per capirci) e Fantasia Barrino (già interprete di questo spettacolo in diversi adattamenti teatrali), nei panni di due sorelle inseparabili (ma ben presto separate) di nome Nettie e Celie. In fuga da un padre violento e da un passato di abusi finiranno nelle mani di Mister (interpretato dal bravo Colman Domingo), un uomo violento e alcolizzato, che le dividerà. Fortunatamente nella vita di Celie entrerà la misteriosa Shug Avery che l’aiuterà a riscattarsi e soprattutto che le farà ritrovare la propria voce.
Razzismo, violenza di genere, sessualità femminile, questi i grandi temi di questa saga familiare, a prescindere dalle declinazioni, sempre comunque attuale. Una storia di redenzione permeata dall’aspetto spirituale e pervasa da un Dio che: “non è vanitoso, ma che vuole condividere le cose belle e che si incazza se si passa davanti al colore viola in un campo qualunque e uno non ci fa caso”. Un lungo viaggio di disperazione, ma anche pieno di speranza, con una lezione da tenere a mente: dal coraggio nasce la compassione e attraverso l’espiazione si ha il perdono, perché se ami veramente Dio devi riuscire a perdonare.
Di certo non è facile per un film del genere stare al passo con i propri predecessori, sulla pagina, sul palcoscenico (il musical debuttò a Broadway nel 2005), e al cinema. Eppure, nonostante molte imperfezioni (su tutte un montaggio poco riuscito), in parte ci riesce grazie soprattutto al grande cast che ha alle spalle. Tra cultura nera, cultura popolare e musica nera con tanto jazz, blues e gospel (e questa è una nota di merito: il film diretto non a caso da un musicista e precedentemente nel 2020 aveva girato il film musicale Black Is King insieme a Beyoncé) da un lato e realismo magico (l’immaginazione di Celie e sono queste le scene più riuscite) dall’altro il film scorre abbastanza piacevolmente. Certo, una tagliuzzata qua e là non sarebbe guastata perché 141 minuti sono davvero un po' tantini. Non per Spielberg (il suo durava ancor di più: 152 minuti per la precisione), ma per Bazawule, cantautore e produttore discografico ghanese noto anche come ‘Blitz the Ambassador’, sì, sono un po' troppi.