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Il caso Yara: Oltre ogni ragionevole dubbio
E se Massimo Bossetti fosse innocente? È la tesi, invero antitesi rispetto all’esito processuale (tre gradi di giudizio e condanna all’ergastolo), sostenuta da Il caso Yara: Oltre ogni ragionevole dubbio, la docuserie sviluppata e diretta da Gianluca Neri, da oggi disponibile su Netflix.
Cinque episodi per ripercorre la tragedia di Yara Gambirasio, la tredicenne ginnasta scomparsa una sera di novembre del 2010 a Brembate di Sopra (BG) mentre percorreva i 700 metri che separano casa sua dalla palestra: l’indagine avrebbe assicurato alla giustizia il muratore Massimo Bossetti, ma – l’affondo di Neri, che scrive con Carlo G. Gabardini e Elena Grillone – oltre ogni ragionevole dubbio?
Domanda retoricissima, che deflagra da testimonianze, ricostruzioni e interviste esclusive - Bossetti e la moglie Marita Comi in primis – illuminando le evidenti aporie, i legittimi sospetti e le ineludibili controversie di una vicenda oltremodo mediatizzata e politicizzata – e sessualizzata, tra paternità alternative, adulteri sottaciuti, consumo di pornografia online, per giunta tacciato di pedopornografia.
Dopo il successo di SanPa (il lavoro di documentazione di Yara lo precede), Neri e i suoi studiano 60mila pagine e centinaia di gigabyte di immagini, audio e video per edificare, per i colpevolisti, una realtà alternativa e, per gli innocentisti, un verdetto antitetico, finendo per issare sul banco degli imputati la pm Letizia Ruggeri, già indagata per frode in processo e depistaggio - la procura di Venezia ha chiesto l’archiviazione, la richiesta a cui si è opposta la difesa di Bossetti sarà valutata domani.
Il prelievo di massa del DNA, la ricerca di “Ignoto 1”, i legami familiari laschi e, questi sicuramente sì, alternativi di Bossetti, la presunzione di colpevolezza in guisa d’innocenza, gli amanti di Marita, la pista del cantiere, di Mohammed Fikri e di un potenziale serial killer, il riserbo dei Gambirasio, la bergamasca tra reticenza e solidarietà, tutto o quasi ha per catalisi le lacrime in cui scoppia il recluso operaio edile, un ometto senza qualità, lampadato e umiliato a più riprese, vilipeso dall’albero genealogico al talamo, passibile di essere un poverocristo e dunque messo in croce. Ovvio, non si fa siffatta serie per ribadire la colpevolezza del condannato, ma se Il caso Yara non è La sottile linea blu, né Neri Errol Morris e Bossetti Randall Adams perché alla fine rimane impresso, e al di qua di ogni ragionevole dubbio, il sorrisetto in camera di Letizia Ruggeri?