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Il buco
Il risveglio di Goreng non è dei migliori. Su una branda in una cella e in coabitazione con un anziano a dir poco ambiguo.
Un piccolo lavabo e un minuscolo gabinetto l’unico arredamento presente. A dividere i due prigionieri, al centro della stanza, un enorme buco.
È l’incipit di El hoyo (Il buco, appunto), opera prima dello spagnolo Galder Gaztelu-Urrutia, a metà strada tra l’horror e la fantascienza distopica. E metafora (molto facile, va detto) che trova sponda “felice” con la realtà che stiamo vivendo in questo periodo.
Non a caso il titolo internazionale è The Platform: sì, perché proprio quel buco in mezzo alla cella, una volta al giorno, ospita la discesa di una piattaforma che “unisce”, solo per pochi minuti, i prigionieri di questa infinita galera verticale.
Ogni piano è numerato e i due compagni di cella ogni mese vengono spostati da un livello all’altro in maniera casuale.
Tavola imbandita al piano 0, lì dove viene preparata con cura minuziosa da chef che nessuno può vedere, la piattaforma inizia la sua lenta discesa verso gli inferi di un’umanità destinata alle peggiori aberrazioni ferine.