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Già con il doc sul becchino di Bitonto Pinuccio Lovero sbarcato alla Mostra del cinema di Venezia nel 2008 accompagnato dallo splendido slogan: “Porterò la morte a Venezia” il regista pugliese Pippo Mezzapesa aveva trovato la notorietà.
Fama poi ribadita con un altro film sull’ascesa di Pinuccio in politica, presentato alla Festa del cinema di Roma nel 2014. Adesso con Il bene mio, grazie anche al bravo protagonista Sergio Rubini nelle vesti di un eremita indaffarato, Mezzapesa si riconferma un talento regalandoci un film delicato, commovente e a suo modo unico.
Non può esserci un futuro senza conoscere il proprio passato. E’ questo il monito del suo secondo lungometraggio di finzione dopo Il paese delle spose infelici. E di fatto questo è un film sulla memoria.
Elia (Rubini) è l’ ultimo abitante di Provvidenza, paese distrutto da un terremoto. E’ un uomo che resiste. Argina l’oblio. Rifiuta di adeguarsi al resto della comunità, che trasferendosi a Nuova Provvidenza, ha preferito dimenticare. Lotta contro la rimozione del ricordo, prendendosi cura di quello che il tempo distrugge, aggiustando oggetti rovinati e ridandogli nuova vita.
Come il robot Wall-e, unico abitante del pianeta Terra, che raccoglieva tutto quello che trovava in giro. Saranno proprio quegli oggetti - un vecchio carillon a forma di pesce, uno skateboard, un disegno- a pacificare gli animi della comunità perché solo conciliandosi con il passato si può affrontare e attraversare il futuro. Non a caso il percorso verso la rinascita di Elia inizierà quando finalmente riuscirà ad oltrepassare il cancello della scuola elementare dove ha perso la vita sua moglie.
La sua personale rivoluzione passerà anche attraverso l’inatteso incontro con una donna in fuga dalla sua terra, una migrante di nome Noor (Sonya Mellah), che per motivi differenti condivide la sua stessa sofferenza. Mezzapesa non mostra né il passato (il terremoto), né il futuro (la ricostruzione). Ci immerge nel presente di un paese fantasma abbandonato e avvolto nel silenzio. Sottrae e allo stesso tempo crea.
Ci lascia in un tempo sospeso dove tutto è possibile, dando libero spazio all’immaginazione. Ed è questa la forza del film. Nonché il vero potere del cinema. Allo stesso tempo muovendosi continuamente sul doppio binario della fiaba e della realtà ribadisce la necessità di recuperare una memoria storica. Si deve ricostruire ciò che è crollato, non rifare tutto ex novo. Uno sguardo al passato che diventa estremamente attuale con le notizie che arrivano da Riace, paese rinato grazie all’accoglienza di immigrati.