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È coraggioso l’adattamento cinematografico di O Banqueiro Anarquista di Pessoa portato sugli schermi da Giulio Base. Anarchico, se vogliamo, nel suo seguire con inflessibilità la libertà di fare un cinema di pensiero, “cinematograficamente iconoclasta” secondo la definizione data dal regista stesso.
Il banchiere anarchico di Base mantiene la struttura da dialogo filosofico del testo di Pessoa e vede in scena due soli personaggi coinvolti in una lunga conversazione: il banchiere che compare nel titolo e un suo dipendente di fiducia, nonché unico confidente.
Procedendo per sillogismi e paralogismi il banchiere vuole dimostrare al suo amico di essere profondamente anarchico, proprio nel senso comune che si dà alla parola. Anzi, vuole convincerlo di esserlo molto più dei tanti che si ritengono tali. La citazione di Pasolini posta in esergo può riassumere le sue ragioni: “Nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole”.
Senza imporre un giudizio, il film si configura dunque come una riflessione filosofica e politica su cosa voglia dire essere liberi; sull’anarchia, ma anche sul mondo spietato della finanza, e per questo risulta estremamente attuale, nonostante – o piuttosto proprio perché – il tempo e lo spazio della vicenda sono indefinibili.
Base asciuga al massimo la messa in scena, ma gioca con il colore, con la musica con le inquadrature. Certo non abbastanza per attirare un pubblico che non abbia voglia di lasciarsi catturare dal ragionamento del banchiere, eppure è una scelta registica che, per quanto ostica, ha un senso.
La scenografia è stilizzata all’estremo (tra le poche eccezioni bicchieri di whisky e sigari) e così i personaggi si muovono in un nero profondo: attorno a loro il pensiero, la ragione che si svolge. Tanto che il dialogo tra il banchiere e il suo interlocutore potrebbe quasi situarsi nello spazio della mente che ragiona dialetticamente dibattendosi tra fredda logicità e pulsioni di libertà senza freni. Le “stazioni” che Base costruisce con luci, suono e pochi materiali di scena sembrano allora rappresentare le fasi dialettiche del ragionamento che si dipana.
Un film difficile, che certo non accontenterà chi non si interessi agli argomenti trattati o a un cinema molto teatrale. Eppure è encomiabile il desiderio di Giulio Base di portare avanti un cinema che non vuole limitarsi ad essere d’approfondimento, ma che sprona lo spettatore a proseguire per conto proprio nello studio.
Come in un libro, nei titoli di coda troviamo una nutrita bibliografia essenziale di testi che trattano l’anarchismo e il libertarismo: sembra quasi di frugare tra gli scaffali della biblioteca del ricco e colto banchiere. È evidente la passione di Base per Pessoa e che, a un grande rispetto del testo, aggiunge nel suo adattamento cinematografico uno studio attento.
Dopo i titoli di coda cast e troupe al completo ballano sulle note di una Anarchy in the U.K. suonata all’ukulele: musica diversamente punk, protagonista diversamente anarchico.